L’ATTRITO E I RUBINI (2° parte)

Proseguiamo l’analisi dell’importantissimo ruolo dei rubini in un meccanismo orologiero, aggiungendo, oltre all’insostituibile compito di ridurre il coefficiente di attrito, anche quello dell’utilizzo nella costruzione dei sistemi antiurto.

L’inconveniente dell’attrito generato dal moto circolare del perno della ruota nella sede del suo alloggiamento,  come affermato nella prima parte di questo intervento tecnico è stato attenuato  con l’introduzione dei rubini. La misura del coefficiente di attrito tra acciaio ed ottone è di µrd 0,44,  mentre tra acciaio e corindone (pietra dura) diminuisce sensibilmente fino al valore µrd 0,12 (valori indicativi variabili in funzione della denominazione dell’acciaio, dipendente dalle sue caratteristiche meccaniche o fisiche). Se tra il perno ed il rubino inseriamo anche una piccola quantità di olio lubrificante, l’effetto risulterà più duraturo e, soprattutto, il sottile pivot su cui grava tutto il carico della rotazione non subisce anomale deformazioni, come rigature e assottigliamenti. Riguardo la composizione e la natura dell’olio per orologeria, possiamo raggruppare gli olii in tre categorie ben precise:

– L’olio animale, usato per molti anni, era ricavato dalla raffinazione del grasso di balena e dalle parti molli presenti negli arti terminali di ovini e bovini.

– L’olio minerale compare verso la fine del 1800, evidentemente a seguito della scoperta del petrolio ed al trattamento dei prodotti derivati: dopo una complessa operazione di raffinazione si ottiene un olio in grado di resistere meglio alle alterazioni, come l’ossidazione, che abbreviavano la durata di quello animale.

– L’olio sintetico è “opera” della chimica. La continua ricerca dell’olio “ideale” ha portato l’attività industriale a creare una serie di lubrificanti con caratteristiche diverse, prodotti interamente in laboratorio: opportunamente catalogati con dei codici (ogni ditta ha i propri), possono essere applicati efficacemente nei diversi punti di attrito che si determinano all’interno dell’orologio, garantendo così una lubrificazione ideale e bilanciata. 

Per esempio, la resistenza allo scorrimento a cui e sottoposto l’asse del bariletto che sostiene la carica ed il conseguente scaricamento della molla, al suo interno, prevede una rotazione lenta: infatti, osservandolo in una meccanica in funzionamento non scorgiamo nessun movimento apparente, mentre in realtà la rotazione si svolge, apportando energia a tutto il sistema. L’olio da impiegare, in questo caso, deve essere più denso e viscoso di quello depositato sul perno della ruota di scappamento, la cui velocità di scorrimento risulta visibile in maniera evidente e la forza applicata ai suoi perni è inferiore a quella sostenuta dal bariletto. Il buon funzionamento dell’orologio, in sostanza, seppur di ottima manifattura dipende enormemente dal lubrificante.

Assortimento di olii lubrificanti.

L’olio lubrificante e la sua azione

L’olio lubrificante viene inserito nell’apposita svasatura ricavata nella parte superiore del rubino. Il primo fattore da tenere presente è la giusta quantità, poiché una dose eccessiva produce un effetto frenante, mentre il contrario vanifica la funzione dell’olio e ne riduce la durata. Per ottimizzare, quindi, il lavoro si prende come riferimento la sommità del perno relativo alla ruota che si deve oliare: questo non deve essere sommerso e superato completamente, ma rappresenta la “quota” massima che l’olio deve raggiungere. Dunque, l’adesione che il lubrificante esercita sul perno e sulla pietra non permette alla gravità di farlo colare, né verso la ruota, né verso l’esterno del rubino.  A temperatura costante, quando le ruote hanno raggiunto una velocità stabile,  anche  la coppia di attrito si stabilizza, riducendosi notevolmente, mentre all’inizio, a bassa velocità, risulta essere incostante: da questo dato, risulta quindi molto importante una fase di “rodaggio” del meccanismo affinché l’olio si distribuisca in uno strato sottile ed uniforme. Il raggiungimento di questa condizione dipende direttamente dalla viscosità del lubrificante: s’intende per viscosità, la rapidità di scorrimento tra le particelle che compongono l’olio, misurata in cSt (Centistoke), dal nome di Stoke, colui che ne isolò le caratteristiche. Altra proprietà che distingue un olio è la densità. Entrambe le caratteristiche sono purtroppo molto sensibili ai cambi di temperatura, quindi la qualità degli olii per orologeria deve essere molto elevata in modo da garantire sempre un ottima resa, indipendentemente dall’escursione termica. Anche la luce può creare alterazioni in questi lubrificanti: sono, infatti, definiti “fotosensibili” e la loro conservazione, quindi, deve avvenire al buio (evidentemente, all’interno della cassa, non vi è luce). Da più quarant’anni le Case orologiere più prestigiose indagano sulle possibilità di lavorare su dispositivi tecnici che non prevedano lubrificazione, ossia su materiali alternativi all’acciaio, all’oro e all’ottone, come  il silicio, il diamante ed altre materie sintetiche: la soluzione definitiva, comunque, non sembra ancora vicinissima e il lubrificante idrodinamico resta ancora la migliore soluzione per supportare efficacemente la precisione dell’orologio meccanico.

In queste tre immagini, possiamo osservare il dispositivo antiurto Cyma, derivato dal sistema Parachute.
Schema del dispositivo antiurto, con la pietra e la contropietra (tra le quali va previsto l’olio lubrificante), la cui parte convessa aderisce con la molla a lamina posta sopra al ponte del bilanciere.

I sistemi antiurto – Il “Parcadute”

I rubini sono utilizzati anche nei Sistemi Antiurto, funzione non meno importante di quella associabile alla riduzione degli attriti. Tali dispositivi sono applicati sull’asse del bilanciere, la cui funzione di ammortizzatore consente di salvare i delicati perni o “pivot”, con diametri dell’ordine di pochi centesimi di millimetro, dagli accidentali ma inevitabili urti di varia natura che l’orologio deve affrontare quando indossato. Il capostipite di questi piccoli congegni, ça va sans dire, è frutto dell’intuizione di A. L. Breguet, che intervenne quando verificò  l’alta percentuale di rotture presentate dall’asse del bilanciere e l’importanza che tale piccolo componente rivestiva nell’ottenimento della precisione di marcia. Mise allora a punto il “Parachute”, letteralmente “Paracadute”. Il sistema si componeva di una sottile lamina in acciaio fissata ad un’estremità sopra il ponte del bilanciere, in modo da rimanere elastica, mentre dalla parte opposta, un apposita sagoma manteneva all’interno della loro sede due rubini: la “pietra” forata che lasciava passare il perno e la “contropietra”, con una superficie piana perfettamente liscia e rivolta verso il pivot e la parte superiore convessa che aderiva perfettamente con la molla a lamina. Tra le due pietre si inseriva l’olio, che risultava così protetto ed isolato dalla polvere  e dall’aria, responsabili del suo deperimento. Sottoposto ad un eventuale urto, il sistema, chiaramente applicato ad un orologio da tasca, assorbiva il colpo spostandosi e, salvato il pivot, immediatamente  riposizionava le pietre,  a loro volta sollevatesi, ripristinando la corretta oscillazione del bilanciere.

Con il Parachute, la via alla previsione dei sistemi antiurto nell’orologio meccanico era aperta, e nel successivo intervento, ne approfondiremo gli sviluppi (anticipiamo nelle immagini che seguono alcuni dei dispositivi più noti).

Dispositivi antiurto Incaboloc (a sinistra) e Kif (a destra), a confronto.
Sistema antiurto Resomatic.
Contropietra sulla quale ancora non è stato adattata la molla a lamina del dispositivo antiurto. 



Da circa 25 anni, giornalista specializzato in orologeria, ha lavorato per i più importanti magazine nazionali del settore con ruoli di responsabilità. Freelance, oggi è Watch Editor de Il Giornale e Vice Direttore di Revolution Italia

ARTICOLI CORRELATI