Eccezionale ed iconico, il Reverso di Jaeger-LeCoultre è un classico dei classici dell’orologeria d’alta gamma. La sua è una storia ben nota, ma non tutti conoscono, tuttavia, il grande contributo “esterno” che lo ha riportato, tra gli anni ’70 e ’90, al polso dei grandi appassionati
Quella del Reverso di Jeager-LeCoultre, l’orologio di forma tra i più singolari nell’universo delle lancette, per via della sua peculiare cassa che si “rivolta” su se stessa, è una storia che nasce sui campi di polo della lontana India coloniale, dove gli ufficiali dell’Esercito britannico si misuravano nel vigoroso sport equestre. Elaborata e sviluppata nella Valle del Giura, in Svizzera, fa capo, all’insaputa di molti, nel nostro bel Paese, l’Italia, che ha contribuito, forse più della Maison stessa, a far entrare il “Reverso” nella leggenda dell’orologeria.
Alla base dell’idea rivoluzionaria di Jaeger-LeCoultre, una richiesta particolare come spesso avviene nel mondo dei segnatempo: realizzare un orologio da polso capace di “girarsi” attraverso un particolare sistema di slittamento della cassa, che, ruotando verso l’interno, consentiva la completa protezione del vetro zaffiro. Fin dalla sua origine, infatti, la cassa del Reverso comprendeva una struttura con “guide di scorrimento, perni per la rotazione e sfere per il bloccaggio”. Ma quale era il suo scopo?
Concepito come un orologio sportivo da Jacques-David LeCoultre e Caesar De Trey, questo segnatempo, pensato appositamente per il gioco del polo, venne realizzato nel 1931 da René-Alfred Chauvot. Il progetto della cassa – brevetto n. 712.868 – venne depositato presso il Ministero francese del Commercio e dell’Industria il 4 marzo dello stesso anno (17 disegni e due aggiunte, per illustrare il sistema di protezione dell’orologio), e i primi orologi del modello Reverso nella loro perfetta estetica Art Déco, in linea con i primi iconici orologi da polso con casse di forma – tra cui citiamo il francesissimo Cartier Santos-Dumont (di cui parliamo qui) – vennero proposti sul mercato a giocatori di polo e a semplici amanti del bello e degli orologi, poco prima del periodo natalizio del 1931: la produzione annua prevista era di 5.000 esemplari, nelle versioni in oro e acciaio, e nelle due dimensioni, per uomo e per donna. Le caratteristiche della cassa descritte da Chauvot nel suo primo progetto sono rimaste sostanzialmente, a tutt’oggi, invariate: struttura in due elementi (supporto e cassa), guide di scorrimento ricavate nelle ali del supporto, perni solidali con la cassa e sfere o copiglie a testa tonda montate su molle per immobilizzare l’orologio a rotazione avvenuta. I Reverso di Jeager Le-Coultre della prima generazione avevano lancette a forma di bastone, indici a freccia, e numeri arabi. È interessante ricordare come, all’epoca, un membro del Consiglio di Amministrazione di Patek Philippe, molto interessato al progetto, trovò il modo di ottenere otto casse Reverso per realizzare dei rarissimi modelli di quel nuovo pionieristico orologio da polso a firma Patek. Due degli otto esemplari sono ancora conservati del museo Patek Philippe a Ginevra.
Ci vorrà del tempo prima che i Reverso, creati per resistere alle forti sollecitazioni delle partite di Polo, tra gli orologi più riconoscibili al mondo, diventino dei segnatempo di lusso, impreziositi da metalli nobili per realizzare le casse, dagli smalti per i quadranti, dai movimenti complicati e dalle caratteristiche incisioni a personalizzare il fondello, co-protagonista assoluto dell’orologio, quando girato sul “verso”: dalle semplici iniziali del proprietario, alle piccole dediche fino ad arzigogolati arabeschi.
Per Lionel Favre, attuale Responsabile del Design della Maison: “Il Reverso è stato la sintesi di forma e funzione, un design basato su un’idea fondamentale: l’inversione, che lo rende uno degli orologi da polso più creativi della storia“. Ma veniamo al fondamentale contributo italiano a questa bella storia.
Una storia molto italiana
La lunga storia della Maison Jaeger-LeCoultre, eccellenza dell’orologeria, come tutti sappiamo, ha inizio nel 1833. Più di un secolo prima della nascita del Reverso. I maestri orologiai della Vallée de Joux, però, devono molto a un italiano che, all’inizio degli anni ’70, quando la Maison stava soccombendo di fronte allo straripante successo del quarzo giapponese, decise di rilanciare sul mercato un orologio, che era uscito di produzione trenta anni prima. Il suo nome era Giorgio Corvo che, nel 1972, era distributore esclusivo di Jaeger-LeCoultre per l’Italia.
Proprio in quell’anno, un dirigente della Maison, Léon Constantin aveva parlato con Corvo delle strategia di rilancio della Casa in Italia, Paese ritenuto un fondamentale “termometro” del successo dell’alto di gamma orologiero a livello internazionale. Su richiesta di Corvo, Constantin verificò che in stock, presso la manifattura, erano rimaste 200 casse di Reverso in acciaio “Staybrite”, impolverate, in un cassetto, dal 1948: anno in cui, Jaeger-LeCoultre aveva interrotto la produzione di quello che, oggi è considerato il suo “modello” icona. Corvo disse chiaramente: “Le prendo tutte”. Al tempo gli orologi di forma, che avevano segnato le tendenze degli anni ’30, erano “passati di moda” e la mancanza di movimenti adatti ad equipaggiare quelle casse (calibri da 9’’’ e 11’’’) aveva portato il Reverso all’estinzione. Nonostante i reiterati tentativi di dissuasione da parte dei vertici della Casa, Giorgio Corvo andò avanti per la sua strada e convinse la Maison a farsi consegnare le casse.
I suoi clienti lo avevano implorato: “Signor Corvo , ci riporti il Reverso”. Per risolvere il problema dei movimenti per il Reverso e, soprattutto, della riluttanza della Maison a produrne, Giorgio Corvo giocò d’astuzia: montò nel suo laboratorio di Milano, su di una cassa Reverso un movimento di serie rotondo, dimostrando ai tecnici della Casa, che l’orologio poteva funzionare. Di fronte all’evidenza, gli orologiai si rimisero al lavoro e, a tempo record, svilupparono un meccanismo ovale – calibro 480 – e lo montarono sui 200 pezzi del nuovo Reverso “Corvo”, con quadrante bianco o grigio e con numeri romani, che, nel 1975, sarebbe andato a ruba nella sua boutique di Milano. Il rilancio di quel modello degli anni ’30, dopo tutto, non fu, per così dire, una cattiva idea: infatti, nel giro di tre mesi, i 200 “Reverso Corvo” furono tutti acquistati da vip e collezionisti, data la loro “eleganza senza tempo”. Alla Maison svizzera, ben spronata da Corvo, non rimase altro che riavviare la fortunata produzione di una nuova linea di Reverso, con “calibro” 486, inserito in una nuova cassa, più performante e leggermente rivista nello stile. La prima linea di Reverso di seconda generazione venne lanciata nel 1978. Il resto, è storia.
Romano, appassionato di orologi fin dalla tenera età, vivo nel passato ma scrivo tutti giorni per Il Giornale e InsideOver, dove mi occupo di analisi militari e notizie dall’estero. Ho firmato anche sul Foglio, L’Intellettuale Dissidente e altre testate.
Nessun commento