Rolex e Cosmograph Daytona, un binomio che non ha mai tradito. Non significa esclusivamente status, ma anche certezza di avere al polso una parte fondamentale della storia moderna dell’orologeria, con la “O” maiuscola.
Decidere di acquistare, nuovo, un Rolex Oyster Perpetual Cosmograph Daytona, vuol dire mettersi l’anima in pace per molto, molto tempo: la schiere di richiedenti, bene o male, lo sanno, ma puntano dritti all’obiettivo, e aspettano. Chiaro che è la versione in acciaio l’oggetto primario del desiderio, per motivi storici e filologici, e se ne è avuta la riprova circa tre anni or sono, quando ha visto la luce la ref. 116500 LN. Insomma, ci troviamo di fronte a capitoli successivi di una saga leggendaria che, per molti, rimarrà a lungo una splendida chimera. E dire che, nel lontano 1962, Rolex presentò l’evoluzione dei celebri cronografi Antimagnetic con il semplice nome di Chronograph: era la ref. 6238. Ad essa seguì, nel 1963, la ref. 6239, in cui la scala tachimetrica fu trasferita sulla lunetta e, sul quadrante, il fondo dei contatori crono venne realizzato a contrasto sulla tonalità di base: per il resto, furono mantenuti i pulsanti a pompa, la corona di carica di tipo Twinlock ed il vetro bombato, denominato Tropic 21. Ed ecco incastrarsi il primo tassello del celeberrimo appellativo che acquisì l’orologio in oggetto, perché, a quel modello Rolex assegnò il nome di Cosmograph.
I motivi non sono chiarissimi, ma sembra che nei primi anni ’60, la NASA cominciò a sottoporre a test, per andare a comporre la strumentazione a disposizione dei propri astronauti nello spazio, nel caso l’attrezzatura elettronica di bordo avesse accusato qualche problema, tre orologi: Longines, Omega e Rolex. Selezionati tra una decina di modelli furono quelli ritenuti più affidabili e alla fine delle verifiche venne scelto, come noto, lo Speedmaster di Omega. Trovandoci esattamente nel 1962, è ipotizzabile che Rolex presentò un prototipo pre-serie del ref. 6239 (che avrebbe visto la luce, come detto, l’anno successivo), battezzandolo scaramanticamente Cosmograph, in omaggio alle imprese spaziali che si augurava di accompagnare. Il secondo appellativo, “Daytona”, invece, prese le mosse, specificamente, nel 1959, quando William France Sr., capostipite di una delle famiglie più note dell’automobilismo a stelle e strisce, che controllava il popolarissimo campionato NASCAR (National Association for Stock Car Racing), inaugurò, in luogo della sabbia deteriorata dell’originario ovale della cittadina della Florida, il Daytona International Speedway, un circuito asfaltato, sul quale organizzare le corse. Si trattava di un ovale imperfetto, perché il secondo tratto di rettilineo, in realtà era suddiviso in due segmenti che s’incontravano a 130°/140°, una sorta di catino, della lunghezza di 4.02 Km, le cui curve paraboliche raggiungevano un dislivello di 31°, dal punto più alto a quello più basso: lo sterzo serviva ben poco, perché si guidava, e si guida ancora oggi, con l’acceleratore, nel senso che si dà gas e si sale verso i bordi, si toglie e si scende. Da quel momento, il circuito cominciò ad ospitare anche competizioni di sports car e di moto. Nel periodo aureo del Campionato Sport Prototipi, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, si sono alternate sul gradino più alto del podio Ford, Ferrari, Porsche e Lola, bolidi che vincevano grazie non soltanto alla potenza, ma soprattutto alla capacità di resistenza dei loro motori e dei piloti che le conducevano. Fu, comunque, nel 1962, ossia un anno prima del lancio del Rolex Cosmograph, che si svolse la prima edizione della Daytona Continental (chiamata anche la 3 Ore di Daytona), una gara assimilabile alla 24 Ore di Le Mans. France, appassionato e possessore di Rolex, attribuì subito alla Maison il ruolo di Official Timepiece del Daytona International Speedway, tanto che il vincitore della Daytona Continental riceveva un orologio Rolex unitamente al trofeo. Una volta lanciato il Cosmograph, questo divenne naturalmente il modello prescelto per celebrare l’evento, ma fu solo nel 1965, che la scritta Daytona cominciò a comparire sui quadranti del Cosmograph, inizialmente solo sugli esemplari destinati al mercato americano: una precisa richiesta delle filiali statunitensi del marchio, per porre l’accento sul link con il Daytona International Speedway.
Gradualmente, poi, tale iscrizione, fu estesa a tutti i Cosmograph e, normalmente, era iscritta in rosso e ad arco, seguendo il profilo del contatore al 6. La fama della pista di Daytona, esplose nel 1966, con la “prima” della 24 Ore, tanto che, nel 1968, un anno dopo la vittoria dell’equipaggio Bandini-Amon su Ferrari, il nome Daytona venne dato, in onore a quella vittoria, alla Ferrari 365 Gtb, una delle rare creature di Maranello con il motore anteriore, carrozzata da Pininfarina. Nel 1992, Rolex è divenuto il Title Sponsor della 24 Ore di Daytona, e, da quel momento la gara è stata ribattezzata Rolex 24 at Daytona, conosciuta da appassionati e addetti ai lavori, semplicemente, come “The Rolex”. Ecco, dunque, composto il mosaico di un nome, e di un orologio, divenuti mito da oltre 50 anni a questa parte. Un alone che circonda anche la citata referenza, 116500 LN, lanciata nel 2016, in cui, la principale novità, e cioè la lunetta nera Cerachrom monoblocco in ceramica hi-tech incisa con la scala tachimetrica (inscalfibile, cromaticamente inalterabile e insensibile alla corrosione), ricorda quella del modello risalente al 1965 – il primo Cosmograph Daytona – con disco nero in plexiglas: nel ref. 116500 LN la graduazione della scala tachimetrica è ottenuta grazie al deposito, nella zona scavata, di un sottile strato di platino mediante una tecnica PVD. Vi è da dire che la soluzione della lunetta Cerachrom, ma sulla tonalità marrone, era già stata adottata da Rolex, nel modello in platino celebrativo del 50° anniversario del Cosmograph. Realizzata in acciaio 904L (inossidabile e ipoallergenico, ma più difficile da lavorare rispetto alla versione 316L, normalmente utilizzata in orologeria), da 40 mm di diametro, l’ultima variante è impermeabile fino a 100 metri, in virtù di fondello, corona (sistema a tripla impermeabilizzazione Triplock) e pulsanti serrati a vite.
Il calibro automatico è il collaudato (è stato presentato nel 2000) 4130, di manifattura, con smistamento della cronografia via ruota a colonne e frizione verticale d’innesto per l’attivazione del cronografo. L’autonomia di marcia è di 72 ore e il dispositivo di ricarica automatica prevede un sistema di ruote d’inversione di nuova generazione, montato su di un solo asse, per una più efficace azione bidirezionale. Un bilanciere più grande, sempre completato dal sistema di regolazione micrometrica inerziale Rolex con dadi Microstella, oscilla a 28.800 alternanze/ora ed è completato dalla spirale Parachrom con curva terminale Rolex: brevettata e interamente prodotta da Rolex in una lega di niobio e zirconio, è insensibile ai campi magnetici, stabile anche se esposta a scarti di temperatura e ad urti, vantando al contempo una precisione dieci volte superiore a quella delle spirali tradizionali. La certificazione di “Cronometro Superlativo”, consente una precisione di +2/-2 s/d, mentre il bracciale Oyster è completato dal fermaglio di sicurezza Oysterlock. Il nuovo Cosmograph Daytona è disponibile in due versioni di quadrante, laccato bianco con fascia periferica dei contatori nera, laccato nero con fascia dei contatori grigia.
In quanto alla denominazione ufficiale di Cronometro Superlativo, indicata sul quadrante, va sottolineato come si tratti di un risultato perseguito da Rolex fin dagli anni ’30. La qualifica di Cronometro, infatti, ufficializzata nel 1951 (l’Ente preposto ai controlli in merito, dal 1973, è il COSC – acronimo di “Contrôle Officiel Suisse des Chronomètres”), dapprima, per la Maison ginevrina, fu accompagnata da un certificato con “lode” – in particolare, a partire dal 1957, quando la Casa introdusse i calibri 1500, dotati di un bilanciere con viti Microstella in oro, che offriva eccellenti prestazioni cronometriche – e, dato che i risultati di marcia ottenuti dai suddetti calibri 1500 erano fino a tre volte più precisi dei criteri che occorreva soddisfare per ottenere la “lode”, Rolex coniò la dicitura “Superlative Chronometer”. Una denominazione che dette luogo, poi, alla celebre formula “Superlative Chronometer Officially Certified”, comparsa inizialmente alla fine degli anni ’50 sui modelli Datejust e Day-Date. Oggi, lo status di Cronometro Superlativo (assegnato all’orologio con movimento incassato) è simboleggiato, ufficialmente, dal sigillo verde che accompagna ogni orologio Rolex insieme ad una garanzia di cinque anni. I criteri di tolleranza sono molto più rigorosi rispetto alla certificazione ufficiale COSC, a livello dello scarto medio di marcia, ossia la precisione riscontrata da chi indossa l’orologio quotidianamente. Questo, in un Cronometro Superlativo, non deve scostarsi dai valori di –2/+2 secondi al giorno, con il movimento incassato, contro il criterio richiesto dal COSC di –4/+6 secondi al giorno per il solo movimento.
Da circa 25 anni, giornalista specializzato in orologeria, ha lavorato per i più importanti magazine nazionali del settore con ruoli di responsabilità. Freelance, oggi è Watch Editor de Il Giornale e Vice Direttore di Revolution Italia
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