Il 26 di marzo Swatch e Omega, che, come molti sapranno sono entrambi di proprietà del medesimo gruppo, hanno lanciato una missione “congiunta” terminata con l’esaurimento, fin dalle prime ore del mattino, dei tanto attesi MoonSwatch. Andati letteralmente a “ruba” in tutto il mondo. Adesso, a bocce ferme e in attesa della loro nuova reperibilità, vale la pena fare qualche considerazione sull’intelligenza di questa operazione di marketing, e sulla “stupidità” di chi lo ha acquistato dagli speculatori a 10 volte il suo prezzo di cartellino.
Trascorso il tempo necessario a quietare gli animi, a far smaltire le file, le liste d’attesa, i diritti di prelazione e le “imbeccate giuste” dall’amico dell’amico, mi appresto a scrivere – a bocce ferme se non quasi – queste poche riflessioni sul MoonSwatch, nato dalla collaborazione tra Swatch e Omega (di entrambi i brand, il gruppo Swatch detiene la proprietà). Ovviamente, ho provato il MoonSwatch in bioceramica, commercializzato nelle scorse settimane presso i rivenditori autorizzati, e ho provato e portato, nel corso del tempo, diversi modelli di Moonwatch Omega: sia nella versione tradizionale con cassa da 42 mm (calibro manuale 861), sia nella versione Speedmaster “Reduced”, con cassa da 39 mm e movimento modulare Omega 3220 (ricordiamo che, i modelli originari del 1957, misuravano proprio 39 mm, portati a 40 a partire al 1960, con l’aggiunta della scala tachimetrica sulla lunetta). Sia con bracciale in acciaio, sia con cinturino in pelle, sia con cinturino stile Nato, velcro et similia. Ma facciamo un passo indietro ricapitolando il lungo percorso che ha portato alla genesi del mito del Moonwatch, a questa joint venture assai fortunata, e alle critiche che molti non hanno saputo trattenere: alcune a buon titolo, altre meno. L’Universo – Sistema Solare compreso – sia lieto e sempre si bei di quella vecchia invenzione che ancora chiamano “libero arbitrio”.
Il Moonwatch di Omega non ha bisogno di presentazioni per gli appassionati d’orologeria. Sviluppato, tra meccanismo e struttura a partire dal 1943, il cronografo disegnato da Claude Baillod, basato su una cassa “aggressiva e compatta”, dotato di lunetta con scala tachimetrica incisa, fondello chiuso a vite, pulsanti a pompa, e un quadrante nero – tri-compax – con lancette “broad arrow” luminescenti, denominato Speedmaster, si è guadagnato un posto nella leggenda quando la NASA, alla ricerca di un orologio estremamente affidabile per i suoi astronauti impegnati nelle missioni spaziali dei programmi Mercury e Gemini, finì col selezionare proprio l’Omega Speedmaster: l’orologio, che nell’estate del 1969 misurò il tempo a bordo dell’Apollo 11, dal lancio fino al primo piccolo passo sulla Luna, e ritorno. Questo tipo di cronografo – non considerando le referenze d’epoca e la costellazione di versioni – è acquistabile, in acciaio evidentemente, a partire da 5.000 euro nelle referenze meno recenti; sul sito Omega, la versione classica, nell’ultimo aggiornamento, è proposta ad un prezzo di 6.800 euro.
Per Omega la “missione congiunta” è stata “un’attività divertente”, e “un rimando rispettoso alla coraggiosa azienda che ha rischiato tutto per spronare il settore dell’orologeria svizzera in crisi durante la rivoluzione del quarzo”. Per il CEO Raynald Aeschlimann: “La collezione MoonSwatch rende omaggio a coloro che hanno salvato il nostro settore in modo intelligente e accessibile. Gli Swatch sono perfetti per chi si appassiona al Moonwatch e non riesco a pensare a un modello iconico più appropriato per la nostra partnership. Noi che siamo andati sulla Luna, esploreremo ora l’intera Via Lattea. Sono orologi straordinari, in colori fantastici, che ci mettono di buonumore“. E questa sintesi si rende con una sincerità obiettiva abbastanza inconfutabile.
Il design degli undici modelli pensati da Swatch sulla base della cassa da 42 mm dello Speedmaster,realizzati in Bioceramic – un mix unico composto da due terzi di ceramica e da un terzo di materiale derivante dall’olio di ricino -, che riproducono la peculiare “asimmetria” (lanciata nel 1963), la famosa scala tachimetrica con l’iconico “Dot Over 90” (DON) e i caratteristici sotto contatori dello Speedmaster, dove le lancette dei minuti e dei secondi presentano il trattamento Superluminova, è piacevole ed attraente. Vale, a dirla tutta, ogni euro dei 250 a cui, come sopra indicato, è stato commercializzato. Ma non un euro di più. E qui forse la prima riflessione critica, non tanto ai brand, che con una strategia di marketing intelligente, hanno fatto comprare o “mettere nelle lista dei desideri” un altro Moonwatch, non soltanto a chi lo aveva già nella sua versione d’acciaio a carica manuale, ma anche a tutti coloro che un Omega Speedmaster non sarebbero mai riusciti a raggiungerlo come “obiettivo” dei loro desideri. E questo, da qualunque punto dello spazio la si guardi, è un’azione nobile.
L’intera collezione, in 11 diversi colori, ispirati ognuno ad una diversa missione su di un diverso pianeta o satellite del nostro Sistema Solare, si propone, per gli esperti di marketingdi Omega, di conferire al celebre modello professionale della Maison di Bienne,“un pizzico di allegria”, mantenendo aspetti tecnici e accattivanti come il particolare cinturino in Velcro© logato, ispirato dai cinturini impiegati dagli astronauti nelle missioni spaziali. Il Velcro, infatti, consentiva all’astronauta di indossare l’orologio sull’ingombrante tutta spaziale, ed è fornito in dotazione con tutti gli Omega Speedmaster di “casa” Omega.
Tutta questa attenzione nei dettagli, nell’epoca degli “hommage” – ossia le repliche di orologi di lusso che tanto sono pubblicizzate su Internet, insieme alle semplici emulazioni (o imitazioni che dir si voglia) di marchi più accessibili per prezzo -, non deve però far scordare a nessuno – neanche ai talebani del risparmio, che dopo l’assedio ai negozi Swatch per mettere a segno il loro fortunato acquisto (al prezzo di 250 euro e 12 ore di lunga attesa in fila indiana con numeretto alla mano per entrare in negozio), sono da settimane in stato di belligerante vanto e vorrebbero paragonare uno MoonSwatch ad un Moonwatch -, che tra i due prodotti, intercorre la distanza che divide la Terra dalla Luna, e ritorno. Il prodotto di questa joint venture è un divertissement (termine che attiene, comunque, ad una composizione artistica) dalle sembianze “tecniche”, che riporta un marchio di lusso, ma al quale nessuno affiderebbe mai la sua vita, in impieghi “professionali”. E non essendo in edizione limitata – come è stato ribadito più e più volte sui canali ufficiali dei due brand – non meritava la speculazione selvaggia di cui si è reso inconsapevole oggetto. Con tanto di sgarbate contese nelle file fuori dai negozi, e documentate “prepotenze” da parte di coloro che – assai poco intelligentemente e correttamente – si sono mossi attraverso canali paralleli per accaparrarsi questo nuovo sfizioso segnatempo, per poi rimetterlo istantaneamente in vendita a dieci volte il suo prezzo nella speranza – per fortuna tradita – che non sarebbe mai più tornato sul mercato.
Per concludere, il MoonSwatch è un orologio delizioso, e a nostro parere un perfetto compagno di viaggio – non nello spazio – ma sicuramente sul nostro pianeta. Soprattutto per l’estate, data la sua anima “smart”, le sue tonalità allegre, la sua praticità, e la sua leggerezza. Un plauso allo Swatch Group per questa sua bella missione. Una nota di demerito a chi pensava di lucrare sugli ingenui astronauti che, da pionieri coraggiosi, volevano solo prendere parte alla missione, vestendo il polso del logo Omega+Swatch, per un viaggio verso l’orologeria e oltre. E stiano tranquilli, questi pionieri, se avranno pazienza, potranno raggiungere il loro obiettivo, di qui in avanti, visitando periodicamente gli Swatch Store autorizzati: chissà che una delle prossime volte, non sia quella buona…
Romano, appassionato di orologi fin dalla tenera età, vivo nel passato ma scrivo tutti giorni per Il Giornale e InsideOver, dove mi occupo di analisi militari e notizie dall’estero. Ho firmato anche sul Foglio, L’Intellettuale Dissidente e altre testate.
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