Forse il nome Eli Cohen non vi dirà, e forse non conoscete la storia del suo orologio. Se così fosse, il mio invito è quello di proseguire. Perché è una storia di straordinaria dedizione e coraggio. E perché ogni appassionato di orologi, quando tiene in mano un pezzo d’epoca, magari appartenuto ad un uomo noto, non può fare a meno di domandarsi: chissà in tanti lieti e chissà quanti difficili momenti, l’uomo che possedeva questo orologio, ne ha seguito il roteare di queste lancette con timore o con gioviale speranza.
Quando il servizio segreto israeliano affermò di essere rientrato in possesso di un orologio, qualcuno si sarà certamente domandato “cosa” potesse esserci di tanto speciale in un vecchio e sbiadito orologio degli anni ’60. La risposta sarebbe che avrebbe ricevuto, stata semplice e fulminea: quell’orologio apparteneva ad una leggendaria spia israeliana, che rispondeva al nome Eli Cohen; e per recuperarlo è stata pianificata niente di meno che un’operazione segreta nel cuore di un paese nemico. E solo per riportarlo in Israele. Dal memento che lui, la spia che si era sacrificata per la causa del suo popolo, aveva reso possibile la vittoria della Guerra dei sei giorni.
Ad elogiare pubblicamente il successo di questo singolare evento, fu l’allora primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che la definì senza mezzi termini:” “un’azione determinata e coraggiosa” portata a termine da quella che forse può essere considerata uno dei più efficienti e temibili servizi segreti del mondo: il Mossad al quale lo stesso Eli Cohen apparteneva. Riportando in patria “un ricordo di un combattente eroico che ha contribuito notevolmente alla sicurezza dello stato” diventato eroe nazionale, il Mossad, che a lungo ne aveva cercato traccia in Siria e in Iran, aveva finalmente “dimostrato” il suo impegno nel riportare in patria quanto più si potesse di quella che a lungo è stata considerata la sua migliore spia.
Ebreo egiziano emigrato in Israele nel 1957, Cohen si unì all’intelligence militare israeliana solo nel 1960, e scelto – proprio in virtù della sua conoscenza dell’arabo – per diventare un agente segreto che avrebbe agito sotto copertura in Siria, dove si sarebbe spacciato per un ricco uomo d’affari tornato in patria dopo un lungo e fortunato soggiorno in Argentina. Il suo savoir-faire e la spropositata quantità di finanze che il Mossad gli aveva fornito per acquistare un sontuoso appartamento dove si tenevano in continuazione party privati dove non potevano mancare liquori e cibi raffinati, da gustare in compagnia di bellissime donne, gli permise di stringere durature amicizie con gli alti funzionari siriani che – considerandolo uno di loro – rivelarono le informazioni e segreti militari che il Mossad desiderava scoprire. Questo gioco pericoloso durò diversi anni, fino a quando le trasmissioni di messaggi in codice Morse inviati da Cohen non vennero captati dal mukhabarat siriano (servizio segreto, ndr) che dopo la cattura lo interrò e torturò per diversi mesi prima di condannarlo a morte e impiccarlo in una piazza del centro di Damasco nel maggio 1965.
Damasco non accettò mai di restituire il corpo della spia a Israele, conoscendo l’attaccamento che lo Stato ebraico ripone nelle spoglie dei sui caduti. Nel desiderio di poterli seppellire in attesa delle resurrezione. Per questo, dal 1965, il Mossad prese l’impegno di recuperare le spoglie della spia, seguendo qualsiasi traccia riconducibile al sui triste destino. Una serie di operazioni segrete vennero pianificate e poi abortite dal momento che nessuno sapeva più localizzare la sepoltura di Cohen. Forse traslato in un luogo segreto proprio per non essere trovato. Durante una perquisizione tuttavia, alcuni documenti rinvenuti portarono all’identificazione dell’orologio.
Fu una sorpresa per l’intelligence israeliana entrare in contatto – dopo mezzo secolo – con le tracce del segnatempo che per documentazione era senza dubbio appartenuto a Cohen. Fu così che venne lanciata un’operazione segreta per rientrare in possesso dell’oggetto che era ancora a Damasco e riportarlo in patria. Quando e come sia stata portata a termine l’acquisizione rimane segreto di stato. Ma quello che a lungo si era creduto essere un Omega, e invece si è rivelato essere un costoso orologio Eterna-Matic Centenaire 61 acquistato in Svizzera – dove Cohen si recava occasionalmente per prendere contatto con i suoi colleghi del Mossad -, alla fine è stato “rintracciato” e ottenuto.
Stiamo parlando di elegante orologio da uomo in perfetto stile anni ’60, con cassa impermeabile tonda “a moneta” in oro giallo 18k, commercializzato da Eterna, casa orologiaia fondata a Grenchen, in Svizzera, nel lontano 1856 da Josef Girard e Urs Schild., brevettatrice nel 1908 del primo orologio da polso con svegliarono incorporato. Proprietaria della sussidiare che dal 1932 produrre i noti movimenti meccanici orologi che rispondo al nome di ETA. L‘Eterna-matic sarà il suo prodotto più celebre della casa orologiaia svizzera, e proprio il modello acquistato dalla famosa spia. Montava un movimento meccanico calibro Eterna 1438, accolto in una elegante cassa del diametro di 34,5 mm, con quadrante argentee, datario a ore 3, sfere triangolari in oro giallo e un vetro plexiglass tipico del periodo di produzione. L’identificazione è stata garantita da un gruppo di esperti forensi appositamente reclutati a confermare che si trattasse proprio dell’orologio indossato da Cohen. “Siamo riusciti a localizzare e portare in Israele l’orologio da polso che Eli Cohen ha indossato in Siria fino al giorno in cui è stato catturato, faceva parte del incarico operativo di Eli e della sua identità fittizia”, affermò in quell’occasione il capo dell’intelligence israeliano, quando la notizia potè finalmente essere divulgata.
Sebbene l’idea iniziale fosse quella di consegnare il cimelio a Nadia Cohen, la sua amata moglie, essa sembra aver insistito affinché l’orologio rimanesse nelle mani del Mossad. Attualmente le spoglie della famigerata spia sembrano essere state localizzate, e sono al centro di una complessa e delicata operazione di spionaggio e mediazione che avrebbe visto coinvolti anche agenti segreti di Mosca. Può apparire strano tutto questo attaccamento ad un vecchio orologio e a quel che resta della spoglie mortali di un uomo morto oltre mezzo secolo fa. Ma non per Israele e il suo popolo che non ha mai smesso di piangere e cercare i propri eroi.
Romano, appassionato di orologi fin dalla tenera età, vivo nel passato ma scrivo tutti giorni per Il Giornale e InsideOver, dove mi occupo di analisi militari e notizie dall’estero. Ho firmato anche sul Foglio, L’Intellettuale Dissidente e altre testate.
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