La Maison di Saint-Imier torna su di un altro fiore all’occhiello, l’ennesimo, del suo percorso nell’universo orologiero, cominciato nel 1832: il movimento meccanico ad alta frequenza. Un terreno su cui si distingue da oltre un secolo, sia sotto il profilo della cronografia sportiva , che su quello della ricerca della massima precisione nel solotempo. Il nuovo Longines Ultra-Chron, in acciaio da 43 mm, s’ispira al primo subacqueo funzionante a 36.000 alternanze/ora, risalente al 1968 e conferma il ruolo da protagonista che Longines continua ad interpretare, nel contesto della visualizzazione e della misurazione del tempo, in modo sempre moderno e propositivo.
La fine degli anni ’50 e gli anni ’60 fino all’inizio dei Seventies, fu per Longines un periodo assolutamente turbolento e complesso, sotto il profilo dell’assetto organizzativo e societario. Grandi trasformazioni erano in atto ed il concept familiare dell’azienda dimostrò di non poter più rispondere efficacemente ad un mercato sempre più competitivo, a livello di rapporto qualità/prezzo sul fronte meccanico, e all’avvento della precisione e del basso costo dell’orologio elettronico. Di fatto, Longines aveva raggiunto il massimo della sua espansione, come brand “familiare”, all’inizio degli anni ’50 e l’ulteriore crescita diveniva imprescindibilmente dipendente da investimenti su larga scala in sedi produttive, macchinari e personale. Vi erano però delle forti difficoltà: la quota azionaria detenuta da investitori esterni era salita al 19% e le banche non avevano intenzione di concedere finanziamenti a lungo termine; gli azionisti non volevano, dal canto loro, assicurare ulteriori capitali all’azienda e, desiderando mantenere il loro controllo su Longines, respingevano l’eventuale entrata di altre partecipazioni. La migliore soluzione, dunque, venne individuata, per rispondere alla crescente domanda e mantenere la propria indipendenza, nello stringere collaborazioni con altre aziende per la fornitura di movimenti. Una strategia condotta da Frédéric Ahles, consulente esterno negli anni ’40, divenuto membro del Consiglio Direttivo della Maison nel 1959 e del Comitato di Direzione nel 1960. Per rappresentare l’urgenza di una simile determinazione, nel 1957, anno d’inizio delle trattative con partner esterni, Longines, in funzione della richiesta, doveva produrre 450.000/500.000 pezzi, circa 100.000 in più delle sue reali capacità. In ogni caso, il cammino era irto di ostacoli perché l’intento di Longines era quello di acquisire nella compagine societaria gli eventuali partner, i quali, dal canto loro non volevano rinunciare alla loro indipendenza. Alla fine di un lungo lavoro di selezione, venne individuata la Record Watch come interlocutore migliore e, nel 1961, Longines ne acquisì il controllo, rilevandone il 60%. L’operazione non venne gestita nel migliore dei modi, però, a livello logistico ed organizzativo: mancava un piano industriale e un management integrato. In ogni caso, la collaborazione con Record Watch non era sufficiente a compensare la lacuna produttiva, tanto che prese corpo un ambiziosissimo progetto mirato a fondare una holding con Wittnauer, Vacheron Constantin e Jaeger-LeCoultre, in cui erano contemplati anche importanti vantaggi nei piani di sviluppo dei nascenti calibri elettronici. Il fatto, però, di non avere il pieno controllo della nuova entità convinse gli azionisti di Longines a rigettare l’idea. Nel 1967, la Maison di Saint-Imier lanciò la collezione Record Watch, che non dette grandi soddisfazioni, tanto che, nel 1973, Longines cominciò ad utilizzare calibri da Ebauches SA (azionista dal 1971).
La ricerca di nuovi partner, comunque, verso la fine degli anni ’60 s’interruppe, in favore, sulla scia di quanto posto in essere da Seiko, della costruzione di una nuova fabbrica in luogo di quelle esistenti di Longines e di Record, in grado di rispondere qualitativamente ai volumi richiesti dal mercato, incrementando contestualmente il tasso competitivo e restringendo il range dei calibri da utilizzare (la Banca Cantonale di Berna era preparata per supportare l’iniziativa con un finanziamento di 5 milioni di franchi svizzeri). Il Consiglio Direttivo non si sentì di rischiare e si limitò ad una riorganizzazione industriale interna, nel 1969 e nel 1970. Longines, nel frattempo, continuò ad acquistare movimenti da altre manifatture, nell’ordine di 8.000 pezzi nel 1967,fino ai 131.000 del 1970. La collaborazione con altre aziende fu la strategia privilegiata all’epoca e ne fu avviata una virtuosa con la Montres Rotary S.A. di La Chaux-de-Fonds. Divenne il “secondo marchio” di Longines, sano finanziariamente, decisamente complementare alla Maison in termini di distribuzione e posizionamento di prodotto (più basso), tanto da aprire positivamente nuovi mercati (Medio Oriente, Sudafrica e Gran Bretagna). Fu, però, la definizione della partnership con Ebauches S.A. nel gennaio del 1970, il riassetto più importante del periodo, seguendo la tendenza dell’industria elvetica orologiera verso la concentrazione. Venne, infatti, costituita la Longines Holding a Saint-Imier, con un capitale iniziale di 4,9 milioni di franchi svizzeri, con il controllo totale della Montres Rotary S.A. e del 66% della Compagnie des Montres Longines Francillon S.A.; l’accordo con la Ebauches S.A. (che assicurava la fornitura di movimenti grezzi) prevedeva una partecipazione nella suddetta holding del 35% che, però, nel novembre del 1971 arrivò al 60%, divenendo così Ebauches S.A. l’azionista di maggioranza. Dei precedenti dirigenti, nel comitato di direzione della holding, rimase solo Frédéric Ahles: gli altri erano tutti esterni. Ebauches S.A. era di proprietà al 50% di ASUAG, dalla cui liquidazione Nicolas G. Hayek avviò, nel 1983, la grande avventura chiamata oggi The Swatch Group. Per Longines, alla fine del 1971, finì un’era, quella del capitalismo familiare, per lasciare il posto alla compartecipazione finanziaria e organizzativa, distribuita su più entità integrate in una matrice strutturale di processo complessa e articolata. Come anticipato nell’incipit, dalla fine degli anni ’50, all’inizio degli anni ’70, si verificò il boom dei movimenti al quarzo realizzati in Giappone, precisissimi ed economici, e l’industria svizzera barcollò fortemente cercando la migliore risposta possibile ad un simile e micidiale attacco. Longines, nel 1964, in collaborazione con l’azienda specializzata Bernard Golay S.A., sviluppò un movimento al quarzo per Cronometri da Marina, il calibro 800, che si aggiudicò numerosi premi nelle competizioni di precisione (ad esempio, quelle tenute dal Neuchâtel Observatory), ma non fu mai utilizzato su orologi di vendita, dunque per finalità commerciali. La Maison, continuò la sua partnership con la Bernard Golay e con la Oscilloquartz d’Ebauches S.A., sul fronte del quarzo, ma era “intimamente” convinta della bontà e dell’appeal del movimento meccanico. In particolare, riteneva che la battaglia contro il quarzo potesse essere combattuta, sotto il profilo della meccanica, mirando la ricerca sull’incremento della frequenza del bilanciere. All’epoca gli orologi da polso meccanici, “lavoravano” a 18.000 alternanze/ora, ma già da diversi decenni, Longines aveva elaborato cronometri e contatori cronografici da tasca operanti a 36.000 alternanze/ora. L’affascinante avventura nell’alta frequenza, che portò, nel 1966 al lancio dell’Ultra-Chron dotato del calibro di manifattura 430, operativo a 36.000 alternanze/ora, dunque, è cominciata molti anni fa e noi ve la raccontiamo.
L’alta frequenza di Longines
La Maison può vantare un heritage di più di un secolo nel cronometraggio professionale, con movimenti in grado di misurare fino a 1/10 e 1/100 di secondo, oltre ad assicurare un’eccellente precisione: risultati che prevedevano un intervento tecnico sulla frequenza. Era il 1897 quando Longines produsse il calibro cronografico 19.73, con contatore dei 30 minuti. Un movimento che venne revisionato nel 1909 con il nome di 19.73N – 19’’’ e 7,4 mm di altezza –, agendo principalmente sullo spessore. Le caratteristiche principali erano: 18.000 alternanze/ora, 17 rubini, bilanciere bi-metallico con spirale Breguet, scappamento ad ancora diritta, smistamento della cronografia via ruota a colonne. Ne vennero realizzate due versioni contestualmente, una assimilabile al movimento originale (contatore dei 30 minuti crono) e l’altra a 1/5 di secondo con totalizzatore a 60 minuti crono. Lo sviluppo di ulteriori varianti determinò la misurazione del 1/10 di secondo (1914), portando il bilanciere ad oscillare a 36.000 alternanze/ora (contatore dei 30 minuti crono), con impiego in campo sportivo, militare e medico. Nel 1922, il calibro 19.73N fu ancora modificato – misurazione a 1/10 di secondo – per introdurre la funzione rattrapante, con sfera flyback centrale aggiuntiva dei secondi sovrapposta a quella primaria, per misurare dei tempi intermedi (il device sdoppiante fu montato sul calibro originario a determinare un’altezza di 8,7 mm): ecco una seconda ruota a colonne, la pinza di bloccaggio, la molla collegata alla ruota sdoppiante. In questo sdoppiante, i secondi crono effettuano una rotazione completa in 30 secondi, mentre i minuti crono, su 15 unità, sono visualizzati in un quadrantino ausiliario al 12. Il 19.73 divenne un movimento classico per Longines e fu rimpiazzato nel 1928 con il calibro 18.72, leggermente più piccolo. Nel 1916, sempre sulla base del 19.73N, la velocità del bilanciere viene portata a 360.000 alternanze/ora, in moda tale da misurare 1/100 di secondo. Al meccanismo venne eliminata la visualizzazione solotempo, con i relativi ruotismi di trasmissione, mantenendo solo la lettura crono: i secondi cronografici impiegano tre secondi a completare un giro e ogni unità è separata dall’altra da 100 tacche; allo stesso modo, il quadrantino ausiliario dei minuti crono è suddiviso su tre minuti, separati ognuno da 60 tacche.
Nel 1938, dopo essere stata nominata Official Timekeeper delle Olimpiadi Invernali di Helsinki – che non si svolsero a motivo dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale -, la Maison lavorò ad un calibro specificamente studiato per il timing sportivo, da 24’’’, declinato in due varianti: 18.000 alternanze/ora e 36.000 alternanze/ora con misurazione a 1/10 di secondo e presenza o meno della funzione sdoppiante. I tecnici della Casa partirono da una base usata per un cronometro da navigazione, il calibro 24.99 del 1908, aggiungendovi il device crono. Nella versione sportiva, su 21 rubini, l’altezza era di 10 mm: rotazione completa della sfera dei secondi in 30 secondi, 15 minuti crono al 12. Non mancò anche la declinazione a 1/100 di secondo con la stessa visualizzazione illustrata per i modelli equipaggiati con il calibro 19.73N e frequenza di 360.000 alternanze/ora. Le evoluzioni tecniche adottate sul 24’’’ costituirono la base per l’applicazione dell’alta frequenza sulle versioni da polso. Al fine di migliorare le performance del 24’’’, la Casa di Saint-Imier presentò, nel 1957, il calibro cronografico manuale 260 (cui fece seguito, nel 1966, il calibro 262), entrambi finalizzati al cronometraggio sportivo, con giro dei secondi crono su 30 unità, allo stesso modo dei 30 minuti semi-istantanei. A partire dal 1960, l’Osservatorio di Ginevra utilizzò esemplari Longines equipaggiati con tale calibro per cronometrare il passaggio dei satelliti in orbita che fornivano informazioni preziose sulle caratteristiche della Terra e sulle previsioni meteorologiche. Il calibro 260, da 24’’’, dallo spessore di 14,55 mm, 36.000 alternanze/ora, 23 rubini, sistema d’arresto del bilanciere, misurazione a 1/10 di secondo, ruota a colonne prevedeva la funzione sdoppiante. Dato che il giro dei 30 secondi crono creava problemi in fase di misurazione degli eventi, come anticipato, nel 1966, Longines presentò il calibro 262, la cui sfera dei secondi crono completava una rotazione in 60 secondi (venne modificato il sistema d’innesto, intervenendo suo ruotismo guida). Date le 600 divisioni della scala periferica dei decimi di secondo, non era facile leggere con precisione tale frazione temporale e, così, Frank Vaucher, stimatissimo Maestro Orologiaio della Maison inventò un ingegnoso sistema per rendere agevole e diretta la lettura del decimo di secondo. Si trattava della scala Vernier, costituita da una cremagliera saldata all’estremità superiore della lancetta dei secondi crono e numerata da 0 a 9 (motivo per cui la scala veniva anche chiamata “del nonio”). All’avvio della misurazione, dunque, tale scala si spostava unitamente alla sfera dei secondi e, una volta bloccato il cronometraggio, bastava vedere quale tacca della stessa fosse perfettamente allineata ad uno degl’indici dei secondi crono: il numero alla base della tacca della cremagliera indicava il decimo di secondo. Detto sistema fu brevettato in Germania nel 1967 e, nel 1968 venne impiegato su modelli subacquei. Contemporaneamente all’adattamento dell’alta frequenza sui tasca deputati alla cronometria sportiva e con l’obiettivo di raggiungere livelli sempre più elevati di precisione, Longines portò avanti una simile soluzione, anche sulle versioni da polso, realizzando piccole serie, non in vendita, per lo più destinate ai Concorsi di Cronometria: l’intento era quello di incrementare, sempre di più, l’immagine e la creatività e consolidare un forte vantaggio competitivo. Così, dopo i disegni tecnici nell’agosto del 1958, nel 1959, la Maison presentò il primo movimento ad alta frequenza per un orologio da polso, il calibro manuale 360, di forma rettangolare con angoli tagliati: 32 x 22 mm (705 mm2), spessore di 5,3 mm, 23 rubini, bilanciere Guillaume, 36.000 alternanze/ora, scappamento ad ancora diritta, cinque ponti. L’orologio che impiegò tale meccanismo, con piccoli secondi al 6, fu prodotto in una serie di 200 esemplari fra il 1959 e il 1963. Il calibro 360 ottenne il primo e il secondo posto al concorso di precisione dell’Osservatorio di Neuchâtel nel 1961 (gli fu assegnata una classificazione 3.0, record assoluto nella categoria dei cronometri da polso), nonché il primo, il secondo e il terzo posto, l’anno successivo: lo scarto giornaliero assicurato era dell’ordine di 1/10 di secondo o inferiore. Uno dei motivi di una simile precisione, unitamente ad un bariletto sovradimensionato e relativa molla di carica più lunga, fu l’aumento delle rivoluzioni della tradizionale ruota di scappamento a 15 denti, mediante l’inserimento di una ruota addizionale, tra ruota dei secondi e scappamento stesso: l’inevitabile incremento nelle frizioni e la diminuzione dell’efficienza nella trasmissione di energia, fu risolto con il montaggio sottosopra della ruota di scappamento per garantire la rotazione della stessa nella giusta direzione.
Un simile movimento convinse, sempre di più, Longines che la strada dell’alta frequenza, in virtù della precisione più elevata e del miglior mantenimento della stessa durante la giornata, in posizione verticale ed orizzontale, poteva portare ad avvicinare, se non eguagliare, le prestazioni degli orologi elettronici. E, infatti, nell’ottobre del 1966, la Fabriques d’Assortiments Réunis (FAR, fusasi nel 1984, nell’ambito del nascente Swatch Group, con la manifattura di spirali Nivarox), brevettò uno scappamento innovativo, funzionale all’alta frequenza, denominato Clinergic 21. Una comparazione con quello impiegato nel calibro 360 fa emergere le seguenti differenze: scappamento a 21 denti, anziché a 15; quarta ruota o ruota dei secondi a 100 denti; eliminazione della suindicata ruota aggiuntiva nel treno del tempo. In aggiunta, l’alta frequenza comportava ancora dei problemi nell’ottimizzazione della lubrificazione e nella riserva di carica. Longines trovò la quadra di simili problemi nel calibro automatico 430, presentato tra il 1966 e il 1967, da 11 ½’’’, solotempo con secondi centrali indiretti, spessore di 4,3 mm, massa oscillante per la ricarica, 17 rubini, bilanciere liscio con spirale auto-compensante operativo a 36.000 alternanze/ora, scappamento Clinergic 21, regolazione eccentrica e antiurto Kif. Era, di fatto, il primo calibro ad alta frequenza, sviluppato da Longines, proposto su orologi di serie e, a risolvere quanto evidenziato poc’anzi, le componenti dello scappamento furono rivestite con un lubrificante a secco brevettato, composto da bisolfuro di molibdeno, una procedura che fu definita da Longines, lubrificazione “filmogenica”. Convinti di aver risposto egregiamente alla precisione dei movimenti al quarzo – il calibro 430 garantiva una precisione pari a un minuto al mese (più o meno 2 secondi al giorno), ben superiore agli standard cronometrici fissati da C.O.S.C. -, i dirigenti della Maison lanciarono la collezione Ultra-Chron, nome registrato nell’ottobre del 1966, con il 430, i cui primi modelli vennero venduti negli Stati Uniti nel dicembre del 1966. Varianti del 430 furono, ad esempio, il 431 (aggiunta della data e riduzione dell’altezza del dispositivo di ricarica automatica) o il 432 (priva dei secondi centrali).
Nel 1967 Longines disegnò una versione sportiva dell’Ultra-Chron, un diver, su cassa d’impianto carré galbéé sfaccettato, con lancetta dei minuti rosso vivo a spiccare sul quadrante nero, impermeabile fino a 200 metri. Sul mercato dall’inizio del 1968, è il primo orologio subacqueo a funzionare a 36.000 alternanze/ora (impiegava il calibro automatico 431, con data), assicurando, anch’esso, una precisione di un minuto al mese. Non mancava la lunetta girevole unidirezionale, per la gestione dei tempi d’immersione. Tornando al quadrante, per favorire la leggibilità dell’ora in condizioni di oscurità, le lancette ore/minuti, la punta della sfera dei secondi e il riferimento triangolare sulla ghiera, vennero riempiti di trizio. Ci fermiamo qui, nell’illustrazione del grandissimo contributo che Longines dette nel “domare” l’alta frequenza, cercando di ottimizzarne solo gli aspetti positivi, perché proprio alla variante subacquea dell’Ultra-Chron si è ispirata Longines per rilanciare questa prestigiosa collezione.
Il nuovo Longines Ultra-Chron
La Maison non poteva aspettare ancora a lungo per ricordare al pubblico degli appassionati un altro fiore all’occhiello nel suo heritage (ultracentenario), ossia l’evoluzione tecnica del meccanismo ad alta frequenza finalizzata sia alla cronometria sportiva, che al raggiungimento della massima precisione del solotempo. Dunque, prendendo spunto dalla versione “diver” dell’Ultra-Chron, classe 1968, ecco la proposta contemporanea di un’icona della Casa, in cui si è scelto di eliminare il datario. La Maison ne ha rispettato tutti i codici estetici, aggiornando in senso contemporaneo i dettagli. La cassa di tipo coussin, in acciaio da 43 mm (13,6 mm di spessore), è meno compatta e più allungata, meno angolosa e più filante nella chiusura delle anse; lo sfaccio lucido è morbido e più consistente è la fascia satinata della carrure, a consentire un maggiore impatto estetico all’insieme strutturale. La corona zigrinata e personalizzata, serrata a vite, ha uno spessore leggermente maggiore, rispetto al modello del 1968 ed è molto meno incassata nella carrure, privilegiandone la manovrabilità in luogo della protezione. Riguardo la lunetta girevole unidirezionale, la Maison ha seguito l’indicazione della versione originale, rendendo un po’ meno marcata la zigrinatura esterna ed inserendo un anello in zaffiro graduato con la scala sessagesimale in rosso, definita ai quarti con SuperLuminova. Il fondello, anch’esso chiuso a vite, prevede un rilievo centrale più marcato nella scritta “Longines – Ultra-Chron con il simbolo delle onde ad alta frequenza”, accompagnata dall’indicazione periferica “ULTRA-CHRONOMETER Officially Certified”; l’impermeabilità è stata portata fino a 300 metri e l’impatto diver dell’orologio è ulteriormente sottolineato dall’estetica del quadrante nero, a finitura grainé, dove la sequenza degl’indici serigrafati bianchi segue molto fedelmente quella del modello del 1968, con quelli ai quarti completati da una barretta applicata, argentata e rivestita con SuperLuminova (fatta eccezione, come sopra anticipato, per l’assenza del datario a 3). La scala della minuteria periferica è percorsa dalla sfera dei minuti in rosso, mentre quella delle ore non è dorata, ma rodiata ed entrambe prevedono una parziale luminescenza. La lancetta centrale dei secondi, nel confronto con l’originale è più discreta, avendo eliminato la parte terminale a punta di freccia. Permangono il logo originale e il simbolo dell’Ultra-Chron, anch’essi rodiati e non dorati. E veniamo al cuore di questo nuovo Ultra-Chron, ossia il calibro automatico L836.6 a cui spettava il gravoso onere di proiettare nel futuro la tradizione della Maison sulla meccanica ad alta frequenza. Realizzato internamente, sempre da 11 ½’’’, evidentemente opera a 36.000 alternanze/ora, battendo, dunque, il decimo di secondo, in virtù di una spirale in silicio e assicura 52 ore di riserva di carica.
Tutto in linea, certo, ma Longines ha voluto, con umiltà, ottenere il riconoscimento qualitativo oggettivo del movimento, attraverso la certificazione cronometrica di TIMELAB Ginevra, un laboratorio indipendente specializzato in test di cronometria. Tale certificazione si riferisce a controlli sul movimento in cassa, mentre il prodotto finito deve superare un periodo di prove di 15 giorni, durante i quali, il segnatempo è sottoposto a verifiche a tre diverse temperature, ossia 8° C, 23° C e 38° C, a confermare la soddisfazione di rigidi criteri di precisione (norma ISO 3159:2009). Il nuovo Longines Ultra-Chron è proposto con bracciale in acciaio a quattro maglie (con tre file di raccordi lucidi) con doppio sistema di sicurezza, azionato tramite pulsanti, il cui costo, se consegnato all’interno di uno speciale cofanetto in legno contenente un cinturino NATO con banda rossa centrale (realizzato a partire da materiali riciclati) e relativo strumento per la sostituzione, è di 3.590 euro; il prezzo scende a 3.340 euro nel caso l’orologio non sia offerto nel suddetto packaging. L’altra versione prevede un cinturino in pelle marrone con fibbia in acciaio che allo stesso modo della declinazione con bracciale, può essere proposto nel cofanetto in legno con cinturino addizionale NATO (3.390 euro) o con packaging su singolo modello (3.080 euro).
Ecco, in conclusione, con questo intervento, abbiamo voluto aggiungere un altro tassello, dopo quello relativo all’heritage sulla funzione GMT con lo Spirit Zulu Time, all’articolato e apparentemente inesauribile portafoglio tecnico-storico di Longines, un brand che continua a sorprendere, ogni anno, pescando lungo i suoi 190 anni di tradizione orologiera e richiamando l’attenzione degli appassionati, quelli veri, su di un know-how da Casa orologiera con la “C” maiuscola.
Da circa 25 anni, giornalista specializzato in orologeria, ha lavorato per i più importanti magazine nazionali del settore con ruoli di responsabilità. Freelance, oggi è Watch Editor de Il Giornale e Vice Direttore di Revolution Italia
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