I “versi paradisiaci” del X Canto della Divina Commedia hanno ispirato Locman nel ricordare la primogenitura italiana dell’orologio meccanico, attraverso una collezione di segnatempo ricercata ed esclusiva. Essa, chiamata Decimo Canto, farà parte del segmento “luxury” della Casa elbana, destinato ai modelli che impiegano calibri di manifattura OISA 1937, anch’essa orgogliosamente italiana. Il design e l’ergonomia della cassa in titanio si sposano con i riflessi cangianti dei quadranti in pietre dure, illuminati ulteriormente su versioni con pietre preziose
L’origine degli orologi meccanici è ancora avvolta da dubbi e incertezze, in riferimento al materiale storico a disposizione. C’è chi afferma che, sulla base di un documento del 1304, il più vecchio segnatempo “certificato”, desunto dalla parola “Schelle” (ossia, campana), sia stato quello realizzato nella volta del Convento di S. Pietro ad Erfurt, capitale della Turingia, nella Germania centrale: di lì i “meccanici” tedeschi lo diffusero in Francia, in Inghilterra, in Italia e in Spagna. Per molti questa è una tesi sufficientemente “campanilista” e poco oggettiva. In tal senso, molti indizi portano verso i territori ispanici (ad esempio, la parola araba “dyal” – ossia quadrante -, retaggio della presenza araba in Spagna dal 711 al 1492, è ripresa in alcuni scritti del 1360) ed altri, concreti, indirizzano sull’Italia. Ci riferiamo ad uno tra i più illustri dei “nostri” figli, ossia Dante Alighieri, il quale, nella Divina Commedia e, precisamente, nel X e nel XXIV Canto del Paradiso, effettua una prima, compiuta descrizione dell’orologio. Si potrebbe obiettare che, data la scrittura dei suddetti canti, presumibilmente, tra il 1315 e il 1318, ci si allontanerebbe dalla condivisa collocazione del primo orologio meccanico a cavallo del 1300, ma avendo il “divin” poeta legato la visione del segnatempo in oggetto al 1300, ed essendo le sue parole piene di “naturalezza”, sembrerebbe che tale strumento fosse noto agli italiani proprio nel suindicato periodo. Entriamo ora nello scritto dell’Alighieri, e specificamente, in quello risultante nel Canto X.
Per contestualizzare, va detto che Dante è entrato nel Quarto Cielo, quello del Sole e qui incontra dodici anime di filosofi e teologi, un numero che riporta immediatamente alle 12 ore di un quadrante e, infatti, queste sono disposte in un cerchio rotante intorno a Dante e Beatrice. San Tommaso (scrisse i trattati “De Coelo” e “De Meteoris”) presenta le singole anime e, tra queste, troviamo Alberto Magno (scrisse trattati di geografia ed astronomia e fu abile “meccanico”), Boezio (ritenuto costruttore di complicati orologi ad acqua), Isidoro di Siviglia (trattò della divisione del giorno) e il venerabile Beda (introdusse nella storiografia occidentale il calcolo del tempo ideato da Dioniso Esiguo, fondato sulla precisa indicazione dell’anno di nascita di Cristo e sull’assenza dell’anno “0”). Che Dante, volutamente, abbia riunito nel cerchio dei dodici dotti un numero importante di studiosi di problemi inerenti il tempo? Tale domanda ancora ricerca una risposta univoca, ma torniamo ai versi in questione (Paradiso, X, 139-148), che così recitano: “Indi, come orologio che ne chiami/nell’ora che la sposa di Dio surge/ a mattinar lo sposo perché l’ami,/che l’una parte l’altra tira ed urge,/tin tin sonando con sì dolce nota,/che il ben disposto spirto d’amor turge;/così vid’io la gloriosa rota/ muoversi e render voce a voce in tempra/ed in dolcezza, ch’esser non può nota/se non colà dove gioir s’insempra.” Va detto che la similitudine dell’orologio con la “gloriosa rota” delle anime dotte, è da interpretare considerando che i primi segnatempo non avevano una lancetta, ma un disco rotante su cui erano indicate le ore, in riferimento ad un indice fisso posto in alto. Tornando ai versi, l’orologio di Dante chiama nell’ora che “la sposa di Dio” (la Chiesa) “surge a mattinar lo sposo” (Cristo). Il “mattinare” significa: dire il Mattutino, la prima preghiera del mattino negli antichi monasteri. All’epoca di Dante, esistevano due tipi di orologi da camera: quello conventuale che indicava e suonava le ore canoniche, ossia quelle ineguali, più lunghe d’estate e più brevi d’inverno, e serviva, con il suono, a richiamare i monaci alle preghiere e alle funzioni religiose; quello civile, posseduto allora solo dai signori, che indicava le ore uguali, regolando la vita dello Stato e dei cittadini. Dante, in questo passo, allude all’orologio conventuale dalle ore ineguali.
Il rotismo dell’orologio “tira ed urge” le ruote, come nella ruota delle anime, tutti tirano e sono tirati, fino a quando scatta la suoneria (“tin tin”) e i religiosi si sentono disposti alla preghiera. Quel “tin tin” è un’onomatopea importante per poter stabilire la grandezza dell’orologio: si tratta, con buona probabilità, di una piccola campana il cui diametro si può stimare in 5/6 centimetri e dato che essa è sempre proporzionata all’orologio, stiamo parlando di uno svegliatore monastico della larghezza di una diecina di centimetri e un’altezza massima di quindici. Questo dimostra che la perfezione raggiunta dagli orologiai alla fine del Duecento, permetteva la costruzione di meccanismi relativamente piccoli. Nel canto XXIV Dante scrive: “E come cerchi in tempra d’oriuoli/si giran sì, che il primo a chi pon mente/quieto pare, e l’ultimo che voli;/così quelle carole, differentemente/danzando, della sua ricchezza/mi si facean stimar, veloci e lente”. Va sottolineato, in primis, il termine “oriuoli”, meno dotto rispetto a “orologi”, con cui si identificavano i segnatempo, a significare che questi erano noti anche al popolo. Analizzando il testo, vediamo che “i cerchi”, nella configurazione di “oriuoli”, girano, con il primo – quello che subisce la spinta della corda, tirata dal peso – che pare, a chi l’osservi, fermo, e l’ultimo che voli. Quest’ultimo, non può essere che il bilanciere, regolatore dello scappamento: esso aveva, sin dagli inizi dell’orologio italiano, forma di ruota, al contrario degli orologi d’oltralpe.
L’occasione di questa bella dissertazione, con specifico riferimento al Canto X, a sostegno di una primogenitura italiana sul segnatempo meccanico, ce l’ha fornita Locman, con il lancio della sua raffinata collezione chiamata, ça va sans dire, Decimo Canto, che ha voluto descrivere come “una poesia d’amore all’orologeria italiana”. Il Presidente Marco Mantovani, da diversi anni, sta lavorando con passione, per riportare alla ribalta i meriti straordinari degli orologiai italiani relativamente alla nascita ed allo sviluppo della meccanica del tempo. Si parla di una tradizione senza pari a livello mondiale e Mantovani ha raccolto questo heritage, riavviando, con il sostegno di un pool d’investitori e il coinvolgimento di professionalità italiane di elevato livello, la manifattura “made in Italy” OISA 1937, caduta nell’oblio negli anni ’70 e, oggi, già in grado di produrre un calibro manuale di gran pregio e dalle prestazioni inequivocabili, il 29-50 Cinque Ponti – sul quale torneremo tra poco -, che sta già equipaggiando diversi modelli della Casa elbana, per non parlare della fornitura ad altre Case orologiere di prestigio. La suindicata linea Decimo Canto è il frutto della collaborazione tra Mantovani e Sandro Fratini, uno dei più importanti collezionisti al mondo di orologi e ideatore del marchio L’O (fa bella mostra di sé sui quadranti dei modelli Decimo Canto, al 6). Ispirati dalle suggestive parole della Divina Commedia, sopra commentate, Mantovani e Fratini hanno dato vita a dei segnatempo originali e curati. Osserva il Presidente di Locman: “Questa collezione ha richiesto due anni di lavoro, con l’ultimo anno a livello decisamente intensivo. Abbiamo voluto concretizzare il connubio tra materiali innovativi, come il titanio lucido, e pietre dure espressive dell’antica tradizione gioielliera italiana”.
Tecnologia, creatività e artigianato, sono sintetizzati in una cassa da 38 mm, come detto, in titanio lucido, connotata da una carrure su tre scalini degradanti, dal più stretto al più largo, a ricordare le tre cantiche della Divina Commedia e chiusa, mediante 4 viti, da un fondello a vista sul meccanismo. Il vetro che consente tale visualizzazione presenta un colore che richiama le cromie delle pietre dure utilizzate per realizzare i quadranti, sui quali, al 6, troviamo, chiarissima, la scritta “Made in Italy”: si tratta di madreperla bianca e nera, lapislazzulo, malachite, occhio di tigre, diaspro rosso e turchese. La tonalità è ripresa anche sul cinturino in pelle (intercambiabile con il bracciale in titanio) e sul cabochon della corona zigrinata, posizionata, a fini di protezione, nell’incasso della carrure, a ore 3. Sul quadrante, percorso da sfere Dauphine, dorate o rodiate, si può scegliere, unitamente ad indici a punta di lancia sfaccettati ai quarti, tra indici applicati piramidali o diamanti incastonati. Osservando, comunque, l’orologio, non si può non notare l’ulteriore elemento caratterizzante, ossia le grandi anse a fiocco saldate e lucidate – libera ispirazione di un tratto estetico proprio del segnatempo di classe di fine anni ‘40/inizio anni ’50 –, dal marcato impatto sia estetico, per il loro abbraccio alla carrure, sia ergonomico, nel momento in cui s’indossa il modello al polso, enfatizzandone il suo mood unisex, che fa pendere la bilancia verso l’universo muliebre, nel momento in cui le anse si presentano incastonate con diamanti. Al fine di garantire il massimo della qualità, per questo aspetto, Locman si è rivolta a Crivelli, azienda gioielliera valenzana riconosciuta a livello internazionale. Infine, come accennato, luci sul movimento, il calibro meccanico manuale, “Made in Italy”, OISA 29-50 Cinque Ponti: da 13’’’, 3,5 mm di spessore, 19 rubini dislocati sui cinque ponti, bilanciere a regolazione inerziale mediante contrappesi oscillante a 25.200 alternanze/ora (3,5 Hz), sistema antiurto Kif e autonomia di carica di 60 ore. Di livello assoluto la tolleranza cronometrica giornaliera, pari a +/-10 secondi, così come la finitura a Côtes de Genève sui ponti (platina a Perlage), effettuata a mano. Conclude Mantovani: “La collezione Decimo Canto verrà distribuita su di un massimo di 50 punti vendita in Italia e non fruirà dell’e-commerce. I concessionari dovranno destinare del tempo per spiegare al cliente il contenuto tecnico-estetico dell’orologio, il suo significato e le possibilità di personalizzazione. Decimo Canto, come la linea Aethalia e il Montecristo equipaggiato con l’OISA 29-50, faranno parte di Locman X, il segmento luxury del brand, finalizzato ad aprire nuove prospettive d’immagine e commerciali, rafforzando e dando ancor più sostanza alla promozione ed affermazione del know-how italiano sul mercato, finalmente tornato alle sue origini manifatturiere”. Come affermato da Mantovani, Locman X, il segmento luxury del brand, comprende, per intenderci, i modelli che impiegano il movimento di manifattura OISA 1937 (al momento, il Montecristo OISA, il Montecristo per l’Amerigo Vespucci, la nuova collezione Aethalia e, ovviamente, la linea Decimo Canto). Gli esemplari Decimo Canto, prioritariamente distribuiti in Italia e negli Stati Uniti, hanno un costo che va dai 5.950 euro ai 12.950 euro (referenze con diamanti sul quadrante e sulle anse),
Da circa 25 anni, giornalista specializzato in orologeria, ha lavorato per i più importanti magazine nazionali del settore con ruoli di responsabilità. Freelance, oggi è Watch Editor de Il Giornale e Vice Direttore di Revolution Italia
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