Negli ultimi anni, la popolarità del semplice, ma iconico, cinturino Nato, una striscia generalmente fatta di nylon o cotone trattato, per assicurare la cassa dell’orologio in acciaio inossidabile al proprio polso, ha suscitato “grande interesse”. Un dettaglio che ricordano anche sullo stesso sito istituzionale dell’Alleanza Atlantica, che ha voluto dedicare a questa tendenza nel settore dell’orologeria un piccolo articolo storico…
La storia del cinturino NATO, dal design semplice e dalle caratteristiche “essenziali”, è “radicata nella praticità militare”, asseriscono gli esperti, e risale, per quanto ne sappiamo, al lontano 1973, quando il Ministero della Difesa britannico – lo stesso responsabile della moda del Mil-Sub, en passant – iniziò ad impiegare una prima versione di questo tipo di cinturino di colore “Grey admiral”. Questo antesignano cinturino NATO, non il primo nel suo genere, ma senza dubbio il primo ufficialmente documentato, era denominato G-10 dal momento che i membri delle Forze Speciali britanniche, che avevano iniziato ad impiegarlo per la sua estrema praticità, dovevano compilare un modulo codificato come G-1098. Tale modulo dava loro diritto a ricevere un cinturino in nylon grigio della larghezza di 20 mm, lungo 280 mm, con fibbie di ottone cromato. Esso veniva fissato al polso in modo da consentire una doppia sicurezza e allo stesso tempo una “maggiore lunghezza”, nell’eventualità che l’orologio dovesse essere indossato, all’occorrenza, sopra una muta da sub o sul polsino dell’uniforme (come degli avvocati Agnelli in divisa, insomma).
Arriviamo, dunque, alla rivelazione più sorprendente: l’origine del termine “NATO” non ha alcuna connessione con il patto stretto dai membri dell’Alleanza Atlantica e dai loro eserciti. È semplicemente dovuto al codice alfanumerico utilizzato nel Ministero della Difesa britannico per identificare tutti gli articoli materiali standardizzati di fornitura. Una casualità, insomma, che ha portato alla genesi del nome: Nato Stock Number (NSN). Ma non è questo l’unico colpo di scena.
L’origine di un mito
Ci sono un momento preciso e un modello di orologi preciso all’origine del mito, che ha fatto del cinturino NATO un accessorio insostituibile da Guerra Fredda, tale da connotare un’epoca. Ma per risalire a quell’istante, dobbiamo fare un passo indietro, molto indietro, quando un agente segreto che risponde al nome di Bond, James Bond, controlla l’ora X sul suo Rolex Submariner Ref. 6538 “Big Crown” stretto al polso – proprio su una muta da sub – da un cinturino in tessuto blu scuro con due larghe strisce verde oliva, definite da una sottile bordatura bordeaux. Quel cinturino ricorda proprio il NATO della nostra storia, e l’orologio, sebbene la referenza in questione non abbia niente in comune con le specifiche pretese dagli orologi militari, ricorda proprio uno dei MilSub sui quali troveremo il cinturino G-10. Tutti notano l’orologio sulla muta, e lo notano ancora, appena qualche fotogramma dopo, quando l’agente 007, interpretato dal grande Sean Connery, controlla di nuovo l’ora, sullo stesso orologio, con lo stesso cinturino, ora stretto al polso, sotto un abito da sera che diventerà leggenda nel cinema: uno smoking bianco con un garofano rosso all’occhiello. C’è solo un problema. Il film in questione, “Goldfinger“, è stato girato nel 1963. Dieci anni prima della documentazione che ci riporta all’origine del G-1098 “NATO”. Come è possibile?
La spiegazione non ha alcuna conferma storica, ma possiamo solo desumere che l’adattamento al polso dell’orologio con cui venne equipaggiato Bond, costituiva il tentativo di imitare i modelli, di cui erano dotati gli uomini rana della Marina inglese, francese e americana. Orologi che, poi, abbiamo scoperto essere i Blancpain Fifty Fathoms dei Navy Seal, i Seameaster e i Milsub della Royal Navy e i Tudor Submariner dei Nageurs de Combat [Nuotatori da Combattimento, ndr] o incursori della Marina francese. I cinturini di questi ultimi, fin dall’inizio degli anni ’70, sono noti per essere realizzati con un particolare tessuto elastico estremamente resistente, impiegato anche nei paracadute. Secondo la storia, i cinturini di questo tipo, analogo al G-10 ma con una essenziale differenza nel metodo di chiusura al polso, erano realizzati in colore verde oliva con una piccola striscia gialla nel mezzo: lo si può osservare nel modello realizzato da Erika’s Originals. Essi sono similari a quelli attualmente montati, in blu con una piccola striscia grigia o in verde con la piccola striscia rossa, nei nuovi Tudor Pelagos FXD, ispirati, appunto, da modelli in uso nella Marina Nazionale francese e nei Navy Seal dell’US Navy.
Gli antenati del cinturino Nato
Sono due gli “antenati” dei cinturini NATO che possono essere identificati, risalenti già alla metà degli anni ’50 o, addirittura, degli anni ’40. Stiamo parlando di cinturini con sigle e storie nebulose, come quello che viene designato 6B/2617, considerato, a tutti gli effetti, il “primo cinturino in stile NATO”: era fornito, sempre e comunque, al Ministero della Difesa britannico nel 1954, per essere indossato sugli orologi IWC Mk11 “Navigator”- i più noti Pilot Watch -, strutturato su due pezzi di cotone intrecciato, uno più lungo dell’altro, uno che scorreva attraverso le barre a molla e l’altro che si infilava nel primo tramite un fermo di metallo. Ecco, poi, l‘AF0210, cinturino in tessuto introdotto nell’equipaggiamento dei soldati britannici che prestavano servizio nella giungla – come i mitici Chindits della Birmania -, adattato successivamente durante la crisi di Suez, in abbinamento a orologi Omega militari. Citiamo, infine, un cinturino denominato VB Hygienique, di una fattura simile a quella del NATO, realizzato in cotone trattato, negli anni ’40. I citati antenati del G-10, secondo le nostre ricerche, erano disponibili solo nelle forniture militari: la loro diffusione, al tempo, si limitava, quindi, all’uso tecnico, con qualche raro caso di impiego casuale, non casual, in ambito civile. Del resto, è noto come gran parte della moda si sia ispirata per i “capi spalla” maschili, a quegli indumenti militari rimasti in uso dopo la guerra o il servizio militare, per “scarse” disponibilità del fruitore, non perché si apprezzasse il vintage, che invece ha condizionato il trend degli ultimi 20 anni.
È essenziale notare come i cinturi militari in stoffa o nylon, in due pezzi o in un pezzo unico da far passare attraverso le anse, fossero inizialmente pensati essenzialmente per i climi tropicali. Il Ministro della Difesa britannico trovava la “pelle” inadatta ai “rigori del combattimento e agli ambienti tropicali”. Per questo il NATO e alcuni dei suoi “antenati” vennero pensanti in nylon: tessuto più resistente del cotone e preferito per la sua capacità di assorbimento del sudore.
Il cinturino NATO nel XXI° secolo
Al giorno d’oggi, i cinturini d’ispirazione militare – siano single-pass o double-pass, a due pezzi in tessuto tecnico militare, in cotone trattato, nylon, canvas, di pelle pregiata o addirittura pregiatissima – sono diventati un vezzo à la page più che un strumento di necessità. Un vezzo reso di tendenza implicita proprio dalla grande rivalutazione da parte degli appassionati per i modelli vintage; tra cui spiccano, sempre e non a caso, i military watch.Siano modelli originali o analoghi al G-10 o rivisitazioni del modello impiegato dai Nageurs de Combat francesi, i cinturini NATO sono onnipresenti come cinturino principale o ausiliario in collezioni attuali: pensiamo ai professionali subacquei proposti da Tudor e Omega, sugli IWC, sui Rolex , sui Breguet, e perfino su qualche vecchio modello di Patek Philippe. È dibattito aperto, e sempre all’ordine del giorno tra gli appassionati e i collezionisti, quale sia il criterio corretto per abbinare un cinturino NATO ad un segnatempo o, come direbbero i militari, “metterlo in dotazione” ad un dato orologio, e se sia il caso di affiancare i cinturini di tipo militare a casse e modelli eleganti o indossare esemplari professionali con cinturino NATO in occasioni formali. L’ultimo dimostrazione ci è pervenuta in occasione dell’incoronazione di re Frederik X di Danimarca, il quale, per l’occasione, ha indossato sotto l’alta uniforme un Omega Seamaster 300 risalente alla fornitura militare dei Frømandskorpset danesi, con fondello personalizzato e cinturino NATO color kaki: a conferma che non si è mai troppo “formali” per indossare un NATO Strap e, almeno in certi casi, “noblesse non oblige”.
Per tale ragione, negli anni molti brand si sono elevati nella produzione sartoriale dei cinturini militari, omaggiando il NATO Strap classico e allo stesso tempo elevandolo attraverso la ricerca di tessuti pregiati, che hanno portato un classico “avanti nel tempo”. Se si ha voglia di indossare qualcosa di più raffinato, ad esempio, realtà molto italiane come Huitcinq1988, hanno elaborato negli anni modelli di cinturini NATO realizzati a mano, che spaziano dal canvas ai pellami esotici pregiati, come la razza o il coccodrillo, ovviamente provenienti da fonti certificate ed eco-sostenibili, selezionate in tutto il mondo e accompagnate da documentazione Cites. Altre realtà, come Erika’s Original, si dedicano invece alla riedizione di cinturini in tessuto tecnico militare del modello in uso nella Marine Nationale francese, celebrando il classico motivo verde oliva con la sottile linea gialla. E spaziano in numerose fantasie, proprio come vuole la tradizione britannica, che dopo l’adozione del G-10 nella sua convenzionale colorazione “Grey Admiral”, iniziò a personalizzare i cinturini NATO, non indossati sul campo, con i colori dei reggimenti di appartenenza. Un esempio? Lo troviamo proprio nei modelli dedicati a James Bond, come l’Omega Seamaster Diver “Commander’s Watch”, che nell’edizione dei 50 anni del Seamaster 300M, presenta un modello NATO in fantasia regimental, ispirata dal grado attribuito dalla Marina alla famosa spia, che ha reso celebre il cinturino NATO nel mondo.
Romano, appassionato di orologi fin dalla tenera età, vivo nel passato ma scrivo tutti giorni per Il Giornale e InsideOver, dove mi occupo di analisi militari e notizie dall’estero. Ho firmato anche sul Foglio, L’Intellettuale Dissidente e altre testate.
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