Tra il 1962 e la metà degli anni Ottanta, Heuer ha prodotto quasi novanta versioni del cronografo Autavia. Oggi, dopo aver rivisitato la storica ed originaria versione crono nel 2017, si propone con solotempo automatici, con certificazione cronometrica.
L’Autavia, il cronografo, uno di quei modelli che hanno scritto belle pagine nella storia della cronometria e che hanno reso ancor più riconosciuto il nome di TAG Heuer, fu lanciato nel 1962. Per comprenderne meglio la sua natura ed il suo DNA, non ci si può non riferire prioritariamente a Jack Heuer, pronipote del fondatore dell’azienda Edouard Heuer. Formatosi in ingegneria, Jack si unì all’azienda di famiglia a venticinque anni, nel 1958. L’anno successivo si trasferì in America per sviluppare le vendite di cronometri da tasca che il marchio produceva nel mercato statunitense. In quel periodo, gli orologi Heuer rappresentavano più o meno il due per cento dei segnatempo totali che si vendevano negli Stati Uniti, mentre nel resto del mondo la presenza dei prodotti del brand sul mercato raggiungeva addirittura il 20/25 per cento. Nel suo cuore, tuttavia, il giovane Jack era un corridore (sia sugli sci che in automobile). Si trovò pertanto a trascorrere la maggior parte del suo tempo a smerciare cronometri e strumenti di misurazione in prossimità dei circuiti su cui si svolgevano le competizioni, trascurando ambienti meno eccitanti come laboratori, scuole o basi militari. E, anche se l’obiettivo dell’azienda per cui lavorava era quello di promuovere i cronometri da tasca che la stessa produceva, la passione di Jack consisteva nel progettare cronografi per piloti. Jack sapeva cosa desidera chi compete ad alta velocità: leggibilità, in modo da poter calcolare le tempistiche in un batter d’occhio. Da ciò conseguiva la necessità di realizzare contatori che fossero i più grandi possibili, preferibilmente in un colore che creasse contrasto con lo sfondo, e quadranti scevri di qualsivoglia scala o marcatore potesse rallentare la velocità di lettura delle indicazioni. I corridori ricercavano anche l’affidabilità, e questo suggeriva il ricorso a casse resistenti in acciaio inossidabile, a movimenti stabili come il Valjoux e a uno stile mascolino e sportivo che si differenziasse da quello dei cronografi eleganti da indossare alle serate di gala. Jack aggiunse di suo anche qualche elemento ulteriore per creare l’orologio-strumento definitivo, come, per esempio, la lunetta girevole che il corridore o il pilota poteva usare per calcolare la durata dei giri, per determinare la velocità su una distanza conosciuta o per tenere traccia dell’ora di un secondo fuso orario. Va ricordato che, dal 1933 (la Heuer progettò il primo cronometro di bordo per vetture da corsa e aerei) al 1957, l’Autavia fu uno strumento di timekeeping da cruscotto utilizzato su auto da corsa e aerei. Il suo stesso nome è infatti la combinazione delle parole “automobile” e “aviazione”. Dopo che cessò la produzione del segnatempo di bordo Autavia, il nome era ancora disponibile e, quindi, Jack Heuer decise di utilizzarlo per il cronografo da polso presentato nel 1962. Il nome Autavia indicava, dunque, che il nuovo cronografo Heuer era costruito per i piloti di ogni tipo. Il fatto, poi, che il modello avesse un nome proprio era una novità che ne amplificava il fascino: i cronografi precedentemente prodotti dall’azienda erano infatti noti solamente con il numero di referenza relativo. Jack continuò a viaggiare da un circuito all’altro e da una competizione alla successiva vendendo i propri strumenti di misurazione. Ma ora aveva in catalogo il cronografo che tutti desideravano – piloti della domenica, rallisti, navigatori e campioni del mondo. Mario Andretti e Jochen Rindt iniziarono a indossare gli Autavia già negli Anni Sessanta, mentre Derek Bell, Steve McQueen, Clay Regazzoni, Jo Siffert e Gilles Villeneuve seguirono le loro orme nel decennio successivo. Nessun altro orologio realizzato da qualsivoglia marchio era tanto diffuso nei pit e nei paddock durante l’epoca d’oro dell’automobilismo. È difficile tracciare confini precisi tra i differenti modelli e le varie esecuzioni. Invece di varare modifiche precise tra un modello e il successivo, come avviene per esempio nel caso delle novità annuali della maggior parte delle auto, Heuer cambiava casse, quadranti, lancette, lunette e altri elementi in momenti diversi della parabola commerciale delle sue proposte. Man mano che le vecchie scorte si esaurivano, Heuer iniziava a incorporare nuove componenti creando modelli “di transizione” che disorientavano – e disorientano ancora oggi – i collezionisti. Anche se le variazioni dell’Autavia uscite negli Anni Sessanta sono numerose, tutte condividono alcune caratteristiche essenziali: si tratta sempre di cronografi a carica manuale che presentano cassa rotonda, lunetta girevole e la dicitura “Stainless Steel Chronograph — Waterproof — Guaranteed 330 Feet Under Water” sul fondello; inoltre, fattore ancor più importante, sono talmente ben fatti che chi li possiede continua ancora oggi a goderseli come 55 anni fa. Di fatto, nell’arco vitale storico dell’Autavia si possono distinguere due stili principali: i modelli prodotti dal 1962 al 1969, che montavano una tradizionale cassa rotonda e un movimento a carica manuale, mentre quelli lanciati dal 1969 in poi erano caratterizzati da una cassa a “C”, ossia tonneau schiacciata con anse integrate e dissimulate, che racchiudeva di volta in volta o il vecchio calibro a carica manuale o un nuovo movimento automatico. La produzione del cronografo Autavia fu interrotta nel 1985.
I solotempo Autavia
TAG Heuer, nel 2017, ha riproposto l’ennesima riedizione del cronografo, dotandolo del calibro di manifattura Heuer-02 e, due anni dopo, ecco il Cronometro Automatico, declinato su sette versioni, cinque in acciaio e due in bronzo da 42 mm, impermeabili fino a 10 atmosfere, ed equipaggiate con il movimento Calibre 5 (da 11 ½’’’, 25 rubini, 28.800 alternanze/ora, 38 ore di riserva di carica, certificato C.O.S.C.). La cassa è ripresa da quella elaborata per la prima generazione dei crono Autavia, ossia, come accennato, utilizzata dal 1962 al 1969, con anse satinate dagli smussi lucidati; la lunetta girevole bidirezionale presenta l’anello graduato con la scala dei 60 minuti in ceramica nera o blu, e in acciaio. Ça va sans dire, sovradimensionata la corona, zigrinata e incisa centralmente, nella migliore tradizione degli orologi da pilota e dei timer che utilizzavano corone extralarge per facilitarne l’uso con i guanti. In quanto ai quadranti fumé, disponibili in nero, grigio o blu, si armonizzano con il mood sportivo della ghiera, esaltandone la leggibilità, in virtù d’indici a numeri arabi molto corposi e lancette a bastone rivestite in SuperLuminova: ben chiara, e non fine a se stessa, la finestrella del datario al 6. I cinturini, in pelle di vitello, sono disponibili in marrone scuro o marrone chiaro, mentre le varianti con bracciale in acciaio inossidabile hanno in dotazione un cinturino NATO in tessuto nel cofanetto; cinturino e bracciale sono facilmente intercambiabili, utilizzando semplici pulsanti sul lato inferiore della cassa (sistema easy-change).
I due esemplari in bronzo con le medesime caratteristiche estetico-strutturali di quelli in acciaio, prevedono quadranti fumé in verde e in marrone, con anello graduato della lunetta bidirezionale, rispettivamente, in ceramica nera e marrone. Sul fondello, realizzato in titanio, sono incisi un elica e uno pneumatico, in omaggio al mix di tradizione automobilistica e aviatoria che ha ispirato la serie Autavia. I plus del bronzo sono noti, ossia la sua cromia “calda”, l’antimagneticità e la resistenza all’usura quotidiana; a questo vanno aggiunti l’inattaccabilità alla corrosione dell’acqua salata (dunque, efficace impiego in ambiente marino) e la creazione, a contatto con l’aria o a causa di variazioni di temperatura, di una patina superficiale, variabile a seconda delle abitudini di chi lo indossa nel tempo e dovuta ad un processo di ossidazione (la finitura satinata della cassa ne garantisce uno sviluppo uniforme). Partendo da un colore rosso-marrone, per poi diventare blu o verdastro, questo graduale cambiamento di colore del metallo è, quindi, completamente naturale: ogni tipo di ossidazione è unico e chi lo indossa può rendere l’orologio veramente personale. Peraltro, è anche possibile accelerare il processo di ossidazione o invertirlo per mantenere l’aspetto originale del bronzo.
Ecco i prezzi: versioni in acciaio con ghiera in ceramica, 2.850 euro; acciaio e lunetta in acciao, 2.750 euro; varianti in bronzo, 3.500 euro.
Da circa 25 anni, giornalista specializzato in orologeria, ha lavorato per i più importanti magazine nazionali del settore con ruoli di responsabilità. Freelance, oggi è Watch Editor de Il Giornale e Vice Direttore di Revolution Italia
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