Ha cominciato per una scommessa con se stesso la sua avventura nel mondo dell’orologeria con la “O” maiuscola, la sua passione da sempre e, oggi, del tempo e del segnatempo, conosce i più reconditi segreti. Oggi è consulente, per la sezione orologeria, della prestigiosa Casa d’Aste Phillips, assieme alla moglie Livia Russo.
Il 26 ottobre 2017 è una data che tutti gli appassionati di orologeria, e non solo, ricorderanno a lungo, forse, per sempre. Al numero 450 di Park Avenue, a New York, sede della Casa d’Aste Phillips, si sta svolgendo l’asta “Winning Icons – Legendary Watches of the 20th Century” e, al lotto numero 8, il banditore presenta il Rolex Cosmograph Daytona Paul Newman, ref. 6239, di proprietà di Paul Newman: per la precisione si tratta del modello che, nel 1968, la moglie dell’attore Joanne Woodward regalò a Paul, e che sul fondello recava scritto, semplicemente, “Drive Carefully – Me”. Si parte da una base d’asta di un milione di dollari e da quel momento, per dodici minuti e mezzo e dopo un primo rialzo, direttamente a dieci milioni di dollari, si scatena una battaglia incredibile tra due collezionisti in collegamento telefonico, a colpi di offerte e contro offerte. Nel mezzo, con sangue freddo e grande professionalità, il banditore d’eccezione, Aurel Bacs, consulente per la sezione orologeria, insieme alla moglie Livia Russo di Phillips. Alla fine, in un silenzio irreale della sala, dopo l’ultimo rilancio a 15,5 milioni di dollari, il martello di Bacs si abbatte sulla base in legno per l’aggiudicazione ad un ignoto collezionista (la cifra è di 17.752.500 dollari comprensiva dei diritti d’asta).
“Ho bellissimi ricordi di quei momenti” – ci confida Aurel –. “A partire dalla prima conversazione telefonica con James Cox, genero di Newman e proprietario dell’orologio, fino all’aggiudicazione, all’incasso della somma e alla consegna dell’orologio all’acquirente. Emozioni intense. Il progetto è durato due anni e notti insonni, ma alla fine si è dimostrato come l’orologio da collezione non sia più un prodotto di nicchia per pochissimi sognatori, ma allo stesso modo di quadri e auto d’epoca, sia divenuto protagonista di un mercato internazionale sano ed efficace. Quel Paul Newman racchiudeva in sé mille significati, tali da poterlo esporre, a pieno titolo, al Louvre di Parigi o al “Met” di New York: è una delle più grandi opere d’arte del ‘900. Rammento molto bene quando, durante il primo incontro con Cox, una sera in California, a tavola, lui scoprì il polso, lo girò e si tolse l’orologio, porgendomelo e dicendo: ‘Ecco, guardalo, l’ho portato’. Non so per quanti minuti non sono riuscito a dire una parola. È un segnatempo che rappresenta tutto il bello e il buono che l’umanità può avere in sé, se solo si fa riferimento all’episodio in cui Paul Newman lo dette a Cox, allora compagno della figlia Nell, nel 1984, così, senza pensarci, senza anteporre la gelosia o l’affezione per un oggetto personalissimo come quello, un gesto istintivo (stavano costruendo una casa di legno nella tenuta di Newman nel Connecticut e Paul si accorse che Cox non aveva l’orologio). Dunque, in quel segnatempo troviamo amicizia, famiglia, amore, lealtà, generosità (una parte consistente del ricavato della vendita è stato destinato a scopi umanitari, come consuetudine della famiglia Newman), modestia. Non mi aspettavo assolutamente che si potesse raggiungere quella cifra, sono rimasto totalmente spiazzato, così come rimasi decisamente sorpreso quando il 18 novembre del 2016, aggiudicai la ref. 1518 di Patek Philippe, in acciaio, cronografo con calendario perpetuo e fasi lunari, per una somma complessiva di 11 milioni di franchi svizzeri. Anche allora, ritenevo impossibile battere quel record, ma è avvenuto. Potrà avvenire anche con l’attuale limite raggiunto. In ogni caso, per me, battere record non ha importanza. L’unica motivazione che mi spinge a fare questo lavoro è, e sarà sempre, la passione.”
E non stentiamo a crederlo quando scopriamo come si è avvicinato all’orologio e quando a deciso di farne la sua professione: “Sono nato a Zurigo nel 1971, svizzero-tedesco e ne sono orgoglioso. Dopo le scuole, cominciai a seguire mio padre, appassionato di meccanica e, quindi, anche di orologi, nei negozi di antiquariato, perché non esisteva un mercato collezionistico. Progressivamente, mi innamorai di quel mondo, lo cominciai a studiare a fondo, comprando libri a ripetizione. Contestualmente, all’inizio degli anni ’80 le Case d’Asta iniziarono a proporre l’orologeria da polso d’epoca. Io, pur continuando l’approfondimento sul segnatempo, intrapresi gli studi di giurisprudenza: mi sarebbe piaciuto divenire un avvocato tipo Perry Mason. Nel 1994, scoprii, in una rivista di orologi, l’annuncio che Sotheby’s stava cercando un esperto per il dipartimento orologi di Ginevra. Non ero affatto convinto, ma risposi perché volevo mettermi alla prova dopo tanti anni di applicazione sull’argomento. Con mio grandissima sorpresa, nella primavera del 1995, ricevetti la chiamata del Presidente della Casa d’Aste: il posto era mio. Mancavano pochi mesi alla laurea, che non avrei mai preso, ma pensai che se non avessi accettato, me ne sarei amaramente pentito. Dissi di sì e, dopo 25 anni, quello è ancora il mio lavoro. Nel 2000 lasciai Sotheby’s e intrapresi un percorso più indipendente nella società di Simon de Pury, ex Chairman di Sotheby’s Europa, seguendolo anche quando si ‘fuse’ con Phillips. Dal 2003 al 2013, con mia moglie Livia Russo, fui responsabile mondiale della divisione orologiera di Christie’s. Volevo fermarmi per un poco, dopo 10 anni intensi, ma arrivò subito la chiamata di Edward Dolman, ex Presidente di Christie’s, divenuto CEO di Phillips, che mi chiese di creare un ‘reparto’ orologi, come consulente e non come dipendente, per avere la massima libertà operativa. Cominciai nel 2014 e il mio presente è sempre Phillips”. Il concetto di collezionismo che Aurel ha contribuito ad alimentare, creatosi nei primi anni ’80, e riferito all’orologio da polso, è, senza dubbio, più giovane, più fresco di quello, assai compassato dei puristi, amanti dei pezzi unici, delle piccolissime serie, degli esemplari del XVII o XVIII secolo, precedenti l’avvento dell’orologeria ‘industriale’.
Puntualizza Bacs: “Nel momento in cui il vintage da polso si è imposto, si è verificato un ‘rinascimento’ dell’orologeria meccanica di valore. Un contesto in cui Patek Philippe, da un lato, e Rolex – in APERTURA, Rolex Cosmograph con quadrante Mark I “Paul Newman”, risalente al 1970 circa, ref. 6263, in acciaio, meccanico manuale calibro 727, aggiudicato per 492.500 franchi svizzeri – dall’altro, hanno iniziato ad essere subito protagonisti: la storia senza interruzione, dal 1839, di Patek, la sua qualità altissima, la sua credibilità, il suo essere garante dello sviluppo dell’orologeria e il fatto che, da circa 90 anni, a timonarla c’è la stessa famiglia; Rolex, il simbolo dell’orologio affidabile, resistente, funzionale, un segnatempo costruito per l’eternità, attivo in una fascia di prezzo ben diversa da Patek Philippe, più accessibile. Se a ciò aggiungiamo uno straordinario sostegno da parte del marketing e della comunicazione, ecco perché ancora oggi i due brand continuano a trainare il mercato collezionistico. Vedo, comunque, una crescita e grandi potenzialità anche per altri nomi prestigiosi, quali Vacheron Constantin, Audemars Piguet, Breguet, Cartier, Omega, IWC, A. Lange & Söhne, per citarne solo alcuni. Il motivo sta nel fatto che ‘la competizione’, agli occhi dei collezionisti, più che sul marchio si gioca sul singolo modello, sulla sua rarità, sulla sua bellezza, sulla sua complicazione, sulla sua originalità, e sulla sua importanza storica. Questo spiega per l’Omega appartenuto ad Elvis Presley, lo abbiamo battuto ad oltre un milione e ottocentomila franchi svizzeri. Inoltre, la forte attenzione dei collezionisti e la sete di cultura orologiera ha stimolato nuovamente la crescita delle piccole serie, dei pezzi unici, anche più recenti, riportando in auge gli orologiai indipendenti, innovativi, George Daniels su tutti, del quale, lo scorso, maggio ho avuto l’onore di aggiudicare due modelli straordinari. In Phillips siamo molto attenti nel valorizzare i Maestri che sperimentano, che hanno coraggio, che realizzano prodotti fuori dell’ordinario in modo totalmente artigianale (cosa che le manifatture ‘industriali’ non possono più fare per motivi organizzativi e commerciali), destinando loro specifiche sezioni in asta. Sono questi i moderni Breguet, Janvier, Perrelet, Graham, solo per fare qualche nome, protagonisti attuali di un approccio all’orologeria che ha consentito alla stessa di arrivare ai livelli in cui è oggi. Siamo spettatori di una bellissima evoluzione.” Detto questo, prosegue Aurel, “il collezionismo, e i prezzi pagati per un orologio da collezione, non seguono una formula. Il valore di un oggetto è dato da ciò che l’universo dei collezionisti e appassionati progetta, costruisce, crea, ritiene appropriato per esso, in un determinato momento. Si tratta di una questione emotiva e non razionale. Ciò non significa che sia solo questa la componente e che non ci sia un substrato valoriale oggettivo. Tornando a quanto detto poc’anzi, è questo lo straordinario valore aggiunto collezionistico di Rolex e Patek Philippe: sui loro modelli gli appassionati costruiscono storie.” E i collezionisti, di che tipo di persone stiamo parlando? “Sono, generalmente, delle persone interessantissime, di grande cultura; non sono necessariamente intellettuali o professori, ma anche giovani 25enni già affermati, curiosi, romantici. E, poi, possiamo trovare calciatori, politici, attori di Hollywood, avvocati, imprenditori, medici, c’è un po’ di tutto. L’85% di loro non vuole ostentare, lo fa per piacere personale, per emozionarsi. Nessuno deve essere esperto per godersi un orologio d’epoca, lo acquista solo per la gioia di vederlo, di portarlo a polso. Lo stimolo sta semplicemente in una battuta di due parole: ‘Mi piace’. E noi, in Phillips, per svolgere al meglio, nei loro confronti, il ruolo di consulenti, abbiamo organizzato un team di 20 esperti, coadiuvato da advisor esterni, perché oggi il mercato è talmente vasto da richiedere diverse e specifiche specializzazioni: nessun esperto può affermare di sapere tutto.” Nel futuro di Aurel, e della moglie Livia, ci sono tanti importanti progetti, top secret. “Fin da ragazzo, non ho mai programmato la mia attività futura, ho sempre vissuto giorno dopo giorno” – ci confida Bacs. “L’orologio è il mio lavoro, ma anche il mi hobby e il tempo libero lo dedico spesso agli amici collezionisti. La mia vita è 24 ore al giorno guidata dalla mia passione per gli orologi. Il giorno che non avrò più questa passione sarà un bel problema…”
Da circa 25 anni, giornalista specializzato in orologeria, ha lavorato per i più importanti magazine nazionali del settore con ruoli di responsabilità. Freelance, oggi è Watch Editor de Il Giornale e Vice Direttore di Revolution Italia
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